Università Cattolica del Sacro Cuore

Novecento, il volto nascosto del secolo breve

François Fejtö ha novant´anni, Mark Mazower, la metà. Il primo ungherese dentro una famiglia diramata per tutto l´impero asburgico, poi francese e come terza patria, egli dice, italiano, ebreo convertito al cattolicesimo, e però non praticante. Il secondo inglese, ma di madre greca. Storici tutti e due, irregolare il primo, impeccabilmente accademico il secondo, poliglotti entrambi, ma il primo pure testimone del tempo, di quel Novecento con il quale hanno fatto contemporaneamente i conti in due libri tanto diversi quanto entrambi ricchi. Forse per quel che li unisce, il non esser gli autori figli di una sola cultura, lingua, storia nazionale.

Ciò che da loro la capacità di guardare al Novecento europeo trascurando le differenze marginali per considerarne le grandi trasformazioni collettive, e le vicende come un tutto intrecciato ove, come si direbbe nella teoria delle catastrofi, un battito d´ali a Mosca provoca un terremoto a Lisbona. È bello immaginare un loro incontro, tra chi le follie totalitarie del secolo le ha vissute, ma proprio tutte, sulla propria pelle, e chi, si indovina dal libro (François Fejtö e Maurizio Serra, Il passeggero del secolo. Guerre, rivoluzioni, Europe, Sellerio, pp. 381, £35.000), al distacco da utopie marxiste è giunto dopo averci creduto, e pure non vuol rinunciare al nocciolo etico che credeva di avervi trovato e scrive quasi con nascosto rancore per la delusione di cui è stato vittima.

Ciò che contrasta vivacemente con la serenità del vecchio, il quale le sue battaglie le ha combattute, le sue scelte politiche le ha fatte - e può orgogliosamente dire di non esser mai stato dalla parte dei dittatori -, non rinuncia a rimarcare le previsioni azzeccate e gli imbarazzi dei suoi interlocutori d´un tempo, Sartre ad esempio a proposito della rivolta d´Ungheria, il già nobile Lukàcs ansioso di legittimazione dopo la guerra, ma al tempo stesso non è interessato a ragionare in termini di vincitori e vinti.

Dopo esser stato “passeggero del secolo”, averne osservato il cangiante panorama dalla serenità infantile che gli trasmetteva il clima dell´impero millenario e multietnico, a quella disincantata della vecchiaia dopo che tutte le illusioni di potenza e di soluzioni perfette si sono esaurite, e il risultato di tanto europeo agitarsi è stata la crisi della centralità culturale e politica che l´Europa aveva conquistato nell´Ottocento, la domanda che percorre il libro, è “l´uomo ha ancora un´anima?”, una questione su cui non smette di riflettere egli dice, anche mentre sollecitato dal suo intervistatore ricorda puntualmente le infinite guerre, rivoluzioni ed Europe che ha attraversato. L´altro, il giovane, lo è ancora troppo per permettersi tanta impudicizia sul fondo del proprio senso della vita. E infine è un accademico, scrive di storia scientificamente, non raccontando di sé.

Anche se poi ciò che rende il libro (Mark Mazower, Le ombre dell´Europa. Democrazia e totalitarismi nel XX secolo, Garzanti) vivo sta proprio nel fatto che egli vi fa implicitamente i conti, giunto a una prima maturità, con gli stessi esiti, generali ma anche strettamente personali, della grande illusione sulla possibilità di dare, ideologicamente, un senso alla storia, di prevederne gli svolgimenti e in termini politici stabilire i buoni e i cattivi, quelli via via da sommergere e quelli da salvare per usar la metafora di cui, dalla parte delle vittime, è stato evocatore Primo Levi, e che ha segnato il secolo.

Ecco allora che Mazower tira le somme descrivendo un Novecento che si conclude meglio di come era cominciato, magari senza molte certezze, ma ove non si preannunciano guerre generali e la democrazia è universalmente accettata come il miglior sistema, senza più i dubbi degli anni Trenta. Un´Europa che ha perso il suo primato, ha attraversato prove durissime, ma i cui abitanti “godono di una straordinaria combinazione di pace, libertà individuale e solidarietà sociale” e dove l´individuo prosegue nella sua lotta di liberazione dai vincoli della tradizione.

Certo, occorre un po´ di pudore nell´evocare “le sfide alla morale tradizionale” dandone testimonianza anche attraverso l´aumento delle nascite illegittime o la facilità dei divorzi, ma Mazower se dovesse rinunciare anche alla ragionevole fiducia nell´individuo, quale altro filo rosso potrebbe trovare per uscire dal labirinto del secolo che ha così brillantemente perlustrato, come smentire anche quell´etica dei diritti, ultimo plausibile presidio della modernità? Egli mette in ridicolo i profeti di sciagure del post-moderno, ma è possibile aver oggi la stessa fiducia nell´individuo che s´aveva un secolo fa, in quella belle epoque la quale sembrava altrettanto promettente di pace e prosperità, in Europa, dell´inizio di questo secolo ventunesimo.

E dopo le prove del novecento? Difficile dirlo. E sotto sotto lo sa anche il giovane, quando definisce “straordinarie” le nostre attuali condizioni. Forse allora la speranza, ma anche il punto di dibattito ineludibile ci viene dal senso della risposta che il vecchio da alla domanda sopra evocata citando Protagora, “abbi fiducia, perché d´origine divina è la stirpe dei mortali”.

19/07/2001