- Milano
- Dipartimento di Storia moderna e contemporanea
- Carte Mozzarelli
- 2001
- Questa tivù ci rapina la coscienza
Questa tivù ci rapina la coscienza
Doveva essere una trasmissione sulle molestie sessuali. La si è vista per lo scontro quasi fisico fra un ministro, Katia Bellillo, e un deputato, l´onorevole Alessandra Mussolini. L´argomento reale ha finito per non interessare nessuno. O meglio la realtà cui appassionarsi è diventata quella tutta televisiva, della lite fra le due, e di Sgarbi che soffiava sul fuoco con provocazioni varie.
Vespa è veramente un maestro. Là dove gli altri conduttori devon tirar fuori quattrini per finte scenate familiari, e personaggi inventati - i quali nemmeno aspettano di esser smascherati, ormai corrono a Striscia la notizia per esibire personalmente la propria truffa -, lui riesce a mettere in scena gratis ministri e deputati a dare il peggio di sé. E soprattutto a far passare l´idea che quella da lui proposta sia la realtà, e non uno spettacolo a margine. Il giocatore Ferrigno, da parte sua, ha rivelato che gli erano stati proposti cinquanta milioni per far pace in diretta nella trasmissione della De Filippi con il collega Bertolotti che aveva quasi ammazzato con un pugno in occasione della partita Como-Modena. Egli ha rifiutato. Se avesse accettato, una volta di più la realtà sarebbe divenuta quella della televisione. Lo spettacolo della pacificazione avrebbe preso il posto d´una realtà tutta diversa e tutti noi ci saremmo compiaciuti per la scena commovente e i buoni sentimenti esibiti. Ma del tutto irrilevanti rispetto alla trama già scritta a tavolino. Di fronte a fenomeni come questi il problema non è di scandalizzarsi.
Sarebbe troppo poco. È di chiedersi che fine hanno fatto la verità e gli uomini in carne ed ossa. Tanti anni fa Pasolini nel suo riflettere sulle mutazioni della società italiana aveva messo in guardia contro la rapina delle coscienze che la televisione avrebbe compiuto. Sembravano le frasi paradossali di un moralista esacerbato di fronte alla scomparsa della civiltà tradizionale in cui era cresciuto. Purtroppo non era così. Nella lucidità dell´angoscia egli antevedeva un percorso che oggi è sotto i nostri occhi. Nata per farci conoscere la realtà, per allungare la portata del nostro occhio, e rendere così più limpida la verità, la televisione ha deciso ormai che la realtà non le basta e nemmeno davvero le interessa. O meglio che è verità ciò che essa ci propone in forma di spettacolo. Il Grande Fratello insegna.
Quando Orwell inventava l´immagine, pensava ancora di dover dare al suo Grande Fratello le caratteristiche di terribilità delle dittature novecentesche, di rappresentare uno scontro fra la ricerca individuale del senso e la finzione di massa imposta dal potere. No, al contrario. È andata che le coscienze vengono piegate e rese malleabili senza alcuna tortura, piuttosto attraverso la rimozione di ogni angoscia, esponendosi come parti e occasioni di uno spettacolo. Come altrimenti si spiegano tutti quelli che vanno in televisione, nelle varie “trasmissioni verità”, a esibire ogni intimità, a piangere, commuoversi e inveire per i cinque minuti loro concessi? Della propria persona, dei loro stessi sentimenti, a loro evidentemente nulla importa. Si vendono come pezzi di ricambio per una scena sempre uguale, e che è a loro riguardo del tutto indifferente.
Certo, si potrà dire che la televisione non crea questi mostri, li prende perché li trova già pronti all´uso. Che non con il mezzo, il quale ce li rivela, dobbiamo prendercela, ma con qualcosa che sta “a monte”. Vero, ma solo parzialmente. Senza il mezzo non ci sarebbe stata l´occasione per tanta devastazione. Senza l´alcool non si può diventare alcolisti. Nemmeno si saprebbe cos´è l´ubriachezza. Spegnere la televisione allora? Guardarla un po´ meno sì, di sicuro. Ma soprattutto fare i conti freddamente con essa e con la droga che ci vuole propinare. E chiedersi come può formarsi la coscienza, e ricercarsi la verità, al tempo delle emissioni del tubo catodico. Sapendo che non è impresa facile, e che tutti siamo stati nel frattempo un po´ irradiati.
02/02/2001