Università Cattolica del Sacro Cuore

Se anche il computer stanca

Secondo il censimento del 1951 solo nel 7,4 per cento delle case italiane c´erano tutte assieme l´elettricità, l´acqua potabile, i servizi igienici all´interno. Sembrano dati incredibili, eppure descrivono la situazione di appena mezzo secolo fa, riguardano l´esperienza di vita di almeno un terzo degli italiani tutt´ora al mondo. Cinquant´anni dopo arnesi allora inesistenti o allo stato di prototipo hanno invaso la nostra esistenza. La televisione sta praticamente in tutte le case (98,7%), il videoregistratore in tre quarti (73%), il computer in poco meno della metà (43%).

Quest´ultimo dato in particolare è impressionante perché la diffusione del computer domestico è faccenda degli ultimi quindici anni, e pur considerando il calo dei prezzi, se non ci si accontenta di un giocattolo occorre ancora investire per una singola macchina almeno l´equivalente di uno stipendio mensile, se pur basso. Sembra sia accaduto col computer quel che successe agli albori per la televisione la quale, partendo da zero nel 1954, arrivò in dodici anni al 49% delle famiglie divenendo un consumo di massa e modificando profondamente, e quasi inavvertitamente, le abitudini di vita. Tant´è vero che secondo l´indagine del Censis oggi solo il 4,2% degli italiani non la guarda. Un misero resto rispetto a quella totalità degli italiani che nemmeno poteva conoscerla cinquant´anni fa. Ci si può immaginare che nel giro di una generazione anche il computer diverrà ubiquo e l´alfabetizzazione informatica sarà patrimonio di massa.

Se sono stati gli elettrodomestici a rivoluzionare le nostre case nei decenni passati, nei prossimi toccherà alle apparecchiature elettroniche. Con effetti ancora tutti da scoprire. Già ora però la straordinariamente rapida diffusione del computer dovrebbe indurci a qualche riflessione: ad esempio su quel che si deve insegnare a scuola. Senza maestri e senza lezioni obbligatorie sembra infatti che l´informatica si sia diffusa egualmente. Forse è più semplice di quel che i pedagogisti credono.

Ma è possibile che solo loro non riescano a usare il computer? Non vorrei crederlo. E allora il problema è di sostanza, ed è quello di non lasciarsi affascinare dal mito ricorrente delle tecniche, le quali in realtà si apprendono rapidamente, diversamente dalla capacità di dar forma al sapere, che è quel su cui ci si dovrebbe concentrare. A riprova è la metà degli italiani che legge libri e giornali quella che ha maggior confidenza con computer e Internet, e sa usare teletext e videoregistratore.

Così che il Paese risulta diviso più dalla cultura che dalla tecnologia e ciò sollecita a pensare che la via più rapida per arrivare al computer, magico simbolo del progresso nel ventunesimo secolo, testimonianza divinizzata di modernità, sia una istruzione che del computer poco si preoccupa. Per la sua utilità esso infatti seguirà naturalmente, come senza incentivi e senza bisogno di pubblicità progresso si è finora tanto velocemente diffuso. C´è un altro dato interessante nell´indagine Censis a questo proposito.

Che un quarto di chi possiede il computer non lo usa, così come un terzo dei proprietari dei videoregistratori. Ovvero, se manca uno stimolo, una domanda cui esso possa rispondere, l´attrezzo, pur disponibile, rimane inutilizzato. Il problema dunque è la domanda, è la capacità di porla che va stimolata. Poi, le vie, informatiche o tradizionali per darle risposta, ciascuno saprà trovarle da sé. E sarà chi legge libri a usare di più e meglio anche il computer. Diversamente procedendo, la stessa abbondanza di mezzi di informazione, anche se tecnicamente padroneggiabili, finirà per creare confusione e disorientamento, come il Censis infatti già ora sottolinea possa accadere. Insomma, la società informatizzata richiede più consapevolezza culturale, più memoria storica e senso dell´identità, di quella tradizionale.

 Sembra un paradosso, è solo la constatazione dell´evidenza.


05/07/2001