Università Cattolica del Sacro Cuore

Telefonino: un´offesa al senso del pudore

Ma davvero c´è stato un tempo in cui non esistevano i telefoni cellulari? Pare impossibile ma sì, c´è stato e se pure è durato fino a una decina d´anni fa sembra lontano anni luce. Perché in effetti a considerarne l´uso appassionato che ne facciamo, c´è da chiedersi come facessimo a vivere senza il telefonino. Senza quei trilli, squilli, marcette che erompono improvvisi nei momenti e luoghi più impensati e improvvidi: al cinema, ma anche a Messa, durante una lezione o nel silenzio di una cima alpina.

Come facevamo a vivere senza poter conoscere dei perfetti sconosciuti con i quali ci troviamo a dividere uno scompartimento ferroviario, interessi e passioni, dichiarazioni d´amore e preferenze gastronomiche, giudizi devastanti sulla zia e consulti approfonditi sulla febbre di Fabrizio, e per di più senza poter aver da loro conferma di quel che credevamo di saper già, che siamo dopo Firenze, e sì, qui c´è il sole cara topolina. Altro che lo spogliarello della Ferilli, la vera offesa al comune senso del pudore, anzi la negazione d´ogni pudore, non si manifesta nei calendari erotici o nella coprolalia dei comici alla Luttazzi, è una pratica di massa contro cui ogni legge sembra impotente e che la morale non ha ancora considerato: sta nella sfacciataggine con cui si parla al cellulare davanti a una platea di involontari curiosi o decisamente irritati come si fosse nell´intimità. Anzi a voce più alta e ripetendo bene le frasi, perché “ti sento male, non c´è campo”.

Sarebbe materia da psicoterapeuti in effetti capire perché il telefonino faccia cadere ogni riserbo e trasformi in esibizionisti verbali, e tremendi scocciatori, vecchi e giovani, uomini e donne. Oppure li riporti a uno stato di innocenza da paradiso terrestre. Provate a lamentarvi, vi guarderanno offesi e giudicheranno maleducati voi che protestate. Sarebbe da capire poi perché gli italiani in particolare se ne siano così appassionati, del telefonino. Provano nostalgia delle sfaccendate chiacchiere in piazza della mitica società preindustriale? O orrore d´una pur breve solitudine con se stessi? Esuberanza dei sentimenti o frenesia del vivere? Noia o accidia? Forse di tutto un po´, anche se il vedere due innamorati al tavolo del ristorante che chiamano e Tizio e Caio invece di parlarsi fra di loro come usava una volta lascia comunque sconcertati.

Nemmeno l´amore al tempo del telefonino evidentemente è più quello che credevamo di conoscere. Pure nel senso che il telefonino paradossalmente favorisce anche l´afasia. Per i messaggini romantici da leggere sul display già le frasi dei baci Perugina sono troppo lunghe e i concetti soverchio elaborati. E infatti chi ha mai scritto “soverchio” sugli Sms? E poi andrà notato come mai tutto quel che il cellulare tocca si miniaturizzi: gli apparecchi in primo luogo, ormai così piccoli che sgusciano tra le fodere, si perdono nelle borse, poco ci manca caschino in bocca e ci rendano ventriloqui, ma anche i concetti: telefonini, messaggini, antennine, e così via. Gli utenti poi, scesi ormai quasi all´età delle elementari.

Anche le tariffe a stare alle pubblicità delle compagnie telefoniche, che tra sconti e rimborsi, numeri preferenziali e offerte promozionali, sembra ci vogliano pagar loro, benefattrici angeliche o masochiste, purchè telefoniamo. In realtà c´è del metodo in tutto questo. Se l´obiettivo, enunciato da tempo nei meeting aziendali, è “una persona un numero”, bisogna che il cellulare sia leggero, in tutti i sensi, lo si porti e usi senza pensarci, e senza ritegno!, richiami facilità e libertà, mezzo giocattolo mezzo status simbol. E allora via coi colori, le fogge e le tastiere più diverse, e i gadgets elettronici incorporati, sempre più sofisticati e praticamente inutili. Se i nostri bisnonni agitando la canna da passeggio evocavano la spada attributo di virile nobiltà, esibendo il cellulare alla cintola siamo tutti pistoleri, bambini e machissimi al tempo stesso.

Tant´è vero che come le bisnonne col bastone, così le donne d´oggi mai le vedrete col telefonino alla cintura. Se pensiamo al telefono a muro d´una volta, nero e solenne, scomodo e raro, ben fuori della portata dei bambini, abbiamo la misura del cambiamento nell´idea non solo del comunicare, ma dello spazio. Che il telefonino annulla, o meglio frantuma e rende disponibile e pieghevole ai nostri desideri attraverso la possibilità di accendere e spegnere l´apparecchio, di farsi trovare o sparire. Così come nella trasformazione dell´orologio da oggetto unico per la vita, pieno di risonanza emotiva, in arnese usa e getta, sempre diverso per accomodarsi ai tempi della vita, o agli umori della giornata, constatiamo la parallela trasformazione del tempo. Non più lineare ma spezzato, non più impassibile testimone e giudice dello scorrere della vita, ma frammento apparentemente scomponibile e disponibile.

Orologi e telefonino, ovvero tempo e spazio soggettivamente sempre più nostri, ma proprio perché usati come individuali e secondo scelta, anche sempre meno oggettivi e condivisi, comuni e reciproci. Come il superuomo nicciano che solo dava senso alla realtà ma proprio per questo non poteva incontrare gli altri, così noi nel momento in cui crediamo di meglio disporre e del tempo e dello spazio, restiamo prigionieri della nostra illusione di potenza. Tanto più soli e divisi quanto più crediamo di poter sempre più facilmente e spensieratamente comunicare.

03/07/2001