Università Cattolica del Sacro Cuore

Un capitolo dell´identità italiana

La tragica vicenda di Cefalonia illustra diversi paradossi della nostra storia recente. Malgrado sia stato uno dei primi atti di Resistenza al nazismo dopo l´8 settembre e un vile massacro di proporzioni eccezionali, fino a ieri era quasi assente dalla coscienza nazionale.

Nemmeno la più che trentennale esistenza del Premio “Acqui Storia”, voluto dagli acquesi proprio a ricordo di quell´episodio e promosso fra gli altri da quel Marcello Venturi autore del volume “Bandiera bianca a Cefalonia” che per primo ricostruì la vicenda, forse il più importante premio per un libro di storia contemporanea in Italia, ha mai stimolato veramente l´attenzione per l´episodio.

Diversamente dai sempre ricordati cavalleggeri di Porta San Paolo a Roma, i militari italiani che a Cefalonia rifiutarono di passare coi tedeschi e si trovarono abbandonati da tutti e senza via di ritirata, non sono stati celebrati e riconosciuti fino a che il presidente Ciampi non ha deciso di visitare l´isola e rendere così loro omaggio. In entrambi i casi erano formazioni militari quelle che resistettero. Ma a Cefalonia in nome del re, a Roma malgrado la fuga del re, e ricordarlo accresceva l´ignominia del gesto dei Savoia.

E tanto più imbarazzante era, per converso, l´episodio di Cefalonia perché poneva il problema del come mai nessuno, alleati compresi già in Sicilia e in grado di intervenire almeno con un aiuto aereo, si fosse preoccupato di far qualcosa per quei soldati che resistevano e morivano. Perciò la divisione Acqui e Cefalonia al mercato della memoria del dopoguerra valevano poco, pur pesando tantissimo per dimensione e orrore, perché non si prestavano a rappresentare una alternativa vivente alla insipienza resa, né potevano essere raccontati come una contrapposizione tra autorità e società, come uno spontaneo moto di popolo, quale solo si voleva fosse stata la Resistenza.

Dunque, meglio trascurare il fatto. Ma, ulteriore paradosso, in anni più recenti, non si combinava quell´episodio nemmeno con l´idea revisionista della “morte della patria” nel 1943, così comoda a spiegare, senza affrontarle davvero, le debolezze dell´identità contemporanea italiana. Quei soldati, come tutte quelle centinaia di migliaia che furono fatti prigionieri allora dai tedeschi e si rifiutarono di collaborare coi nazisti preferendo sopportare, fino alla fine della guerra, le durissime condizioni dei campi di prigionia germanici, provavano che alla patria in tanti continuavano a crederci. Ovvero che gli italiani sapevano distinguere benissimo fra regime fascista e nazione.

Perciò poco inquadrabile nella prima prospettiva sopra ricordata, gli uomini della Divisione Acqui nemmeno facevano gioco alla seconda. Rimanevano scomodi per tutti. E, terzo paradosso, c´è voluto l´annuncio di un film - credo americano, tratto da una ricostruzione romanzata in inglese - perché finalmente la Divisione Acqui venisse onorata nel suo sacrificio.

C´è voluto che gli altri ce lo ricordassero perché noi finalmente ne prendessimo atto. Ma il titolo del libro, e credo del film, è “Il mandolino del capitano Corelli” e questo la dice lunga su come i militari italiani vi siano rappresentati, e riconoscendoci in quali stereotipi noi riusciamo a parlare di noi stessi, succubi dell´immagine un poco cialtrona che da fuori ci viene imposta, e che ha portato gli americani ad apprezzare fino all´Oscar, per restare in tema, un film certo divertente e consolatorio ma irreale come “Mediterraneo”. Così che questo terzo paradosso ci porta a considerare perché non si sia capaci di uscire dall´immagine dell´Italietta che tante volte il presidente Amato ha denunciato come nostro limite nazionale in Europa. Non perché manchi la serietà agli italiani, come Cefalonia dimostra, ma perché noi stessi preferiamo non ricordarcela.

Dare visibilità e significato al massacro della divisione Acqui non è perciò alla fine soltanto un passo importante per restituire finalmente memoria e dignità a quegli uomini, ma una occasione importante per riaprire il discorso sulla Resistenza, su che rapporto vi sia stato in chi vi partecipò tra la virtù della tradizione e le ideologie dei partiti emersi allora dalla clandestinità, che abbia significato una consapevolezza diffusa, e piuttosto etica che politica, della inaccettabilità del nazismo, come si sia preservata la dignità di un popolo in quei momenti difficilissimi, come senza un simile sentire diffuso sarebbe stato impossibile anche l´esistenza di una Resistenza armata nel Paese. Un ultima considerazione a tutte queste si connette. Dicevo sopra del Premio “Acqui storia”. Da alcuni anni sono il presidente di giuria.

Il Comune che lo promuove è governato dalla Lega che ne è gelosa custode come prima lo furono altre maggioranze. Mai in questi anni vi sono state pressioni da parte degli amministratori sulla giuria, mai essi hanno nemmeno ventilato l´ipotesi di sopprimere un premio che a prima vista poco ha che fare con le ragioni ispiratrici della Lega. Ancora una volta là si dimostra una serietà etica, che fa aggio su ogni altra considerazione. E anche questa è Italia, e ne dobbiamo essere orgogliosi.

02/03/2001