Università Cattolica del Sacro Cuore

Università, la riforma pasticciata

Una vecchia ma sempre valida regola del giornalismo prevedeva i fatti separati dalle opinioni. Rispetto alle proteste degli studenti universitari di questi giorni, e a quelle degli stessi docenti, se ne sta invece applicando un´altra: le opinioni senza i fatti.

Così che il rettore della nuova università milanese della Bicocca, la Milano 2 per intenderci, sia stato contestato dagli studenti che protestavano e per la riforma prossima ventura e per l´aumento delle tasse, i milanesi hanno potuto apprenderlo sul “Corriere” solo dall´articolo di deprecatorio commento delle giovanili intemperanze, pubblicato in bell´evidenza sul supplemento cittadino dal prorettore Martinotti. Il quale, tra l´altro, spiega che l´attuale riforma è un estremo esito di quella proposta dal ministro Gui negli anni Sessanta. Come dire, gli studenti che danno del comunista al rettore e se la prendono con la legge varata dal centrosinistra attuale, non sanno nemmeno che si tratta in realtà di una legge quasi democristiana.

Anche il mitico Sessantotto solitamente tanto celebrato viene ridotto, nell´articolo, a una difesa corporativa da parte degli studenti contro ogni prospettiva meritocratica di riforma dell´Università. Sarà per questo che nemmeno Santoro ha illuminato finora la questione con il suo Raggio verde. E sarà per una qualche regola di par condicio elettorale - tipo, non disturbare il manovratore il quale lavora per voi - che anche nei telegiornali le manifestazioni di studenti e docenti hanno avuto così poco spazio.

D´altro canto come dice apertamente Martinotti, la riforma è il nuovo che avanza, e chi le si oppone lo fa perché non vuole lavorare, se docente, o studiare, se studente. In realtà quel che preoccupa è l´assurdità della riforma, la quale proclama il principio dell´autonomia ma stabilisce minuziosamente quali possano essere i corsi di laurea triennali (56) e quelli per la laurea specialistica, ancora più numerosi, e impone per i due terzi di ciascun curriculum scelte largamente obbligate dal ministero, introducendo ulteriori paletti alla povera autonomia con la suddivisione obbligata dei crediti, la nuova misura dell´impegno richiesto stabilita in un credito per venticinque ore, fra i diversi tipi di materie (se di base, integrative o affini) e fra le diverse attività (lezioni, tirocinii, tesi, lavoro personale, altre attività).

Non solo, ma la riforma stabilisce che la nuova laurea triennale sia professionalizzante, e che la successiva biennale sia specialistica. Ma specialistica rispetto a che? Alla professione appresa nei primi tre anni? Parrebbe di no, e intesa piuttosto a dare un livello superiore di conoscenze, dunque per professioni diverse da quelle cui ci si è dapprima preparati. Come dire, una volta formato il futuro segretario comunale, ci aggiungo due anni e te ne tiro fuori il possibile avvocato. Ma la professionalità del segretario sta tutta e solo in quella dell´avvocato, nell´essere un mezzo avvocato? O viceversa quella dell´avvocato nell´esser un supersegretario comunale? Già nell´attuale ordinamento esistono le cosiddette lauree brevi, triennali.

Bastava potenziarle e farle correre in parallelo a quelle quadriennali o quinquennali per ottenere autentiche professionalità e lasciare a quelle più lunghe la possibilità e autonomia necessaria a preparare a un ampio ventaglio di alternative. Si insiste tanto sulla flessibilità del sapere, sulla necessità di una formazione permanente, sulla conoscenza come capitale principale nelle società del futuro, ma invece di semplificare gli ordinamenti di studio così da favorire l´agilità di una solida formazione da adattare via via alle esigenze si pensa di poter pedantemente prefigurare ogni possibile futuro nelle maglia rigida e fittissima delle cento e cento lauree di oggi.

Veramente una bella presunzione. E perché poi? Secondo i bene informati per far bella figura nelle classifiche Ocse sul numero, e l´età, dei laureati. Sarà una malignità, ma alla fine è la spiegazione più sensata che abbiamo sentito. Così uno Stato e un governo che, lo dimostra la stessa riforma della scuola, non hanno un chiaro progetto di cittadinanza essendo vittime come tutti della crisi della modernità e delle sue utopie, si dimostrano impotenti - perché capaci solo di inseguire l´esistente in una minuta tassonomia - e dirigisti al tempo stesso. Davvero non c´è ragione di protestare e sperare che qualcuno fermi la macchina infernale? Quanto agli studenti, nemmeno loro sono senza buone ragioni. Ne dovremo riparlare.

03/04/2001