Università Cattolica del Sacro Cuore

Ferito il simbolo del boom economico

Milano. Sono dovuto uscire poco dopo le sei del pomeriggio. La zona dove abito è lontana dal Pirellone, ma la notizia si stava già diffondendo. Due bambini davanti a me parlavano di una bomba in Duomo, disinnescata. Gli adulti alla fermata Sant´Ambrogio più prosaicamente si chiedevano se la metropolitana viaggiava. I telefonini funzionavano male comunque. Il traffico era quello fitto di fine giornata, le sirene delle ambulanze nemmeno erano più frequenti del solito. Solo un elicottero che volteggiava basso era anormale, ma dopo poco s´è allontanato. C´era un bel sole, era stata una bella giornata. Immagino come a New York l´11 settembre, la vita della città continuava lontano dal Pirellone. I milanesi non volevano che fosse un attentato, e si comportavano di conseguenza. Esibivano, nel farsi i fatti loro come se tutto fosse a posto, la speranza che si trattasse solo di un incidente. È stato un amico da Napoli a telefonarmi quando sono rientrato per sapere cosa succedeva. E non ho potuto dirgli altro che non c´erano segni evidenti di panico, o turbamento. Perché in realtà i milanesi erano offesi più che preoccupati. Il Pirellone non è il Duomo, nemmeno Sant´Ambrogio, cui forse sono ancora più affezionati perché non devono dividerla con i forestieri in massa, e neanche la Scala. Però, piantato lì vicino alla stazione centrale, fa parte del paesaggio urbano, è un simbolo, come si dice. Tant´è vero che Formigoni ha cercato invano di ribattezzarlo Palazzo della Regione. Per tutti è il Pirellone, e rappresenta la Milano del dopoguerra e del boom. Come spiega quella famosa foto di Uliano Lucas credo, che mostra in primo piano un immigrato dal Sud con la valigia di cartone sulla spalla e il Pirellone altissimo davanti a lui, promessa di mutamento, modernità in atto, ma avvertimento anche di una distanza siderale fra l´uomo del Sud contadino e la nuova città che lo aspetta, e ha bisogno di lui e però è anche orgogliosa di sè. Se pure la foto è anche rappresentazione d´un storto Davide in giacca di fustagno in faccia a uno scintillante e dritto gigante Golia, rappresentazione d´una sfida che sarà vinta. Ora il Pirellone non è più da tanto della Pirelli, nemmeno gli stabilimenti dei cavi e delle gomme sono più dov´erano. Alla Bicocca ci stanno teatri e università, terziario avanzato invece di tute blu. E nella piazza davanti al Pirellone bivaccano i più disperati degli extracomunitari con lattine di birra sparse lungo i marciapiedi. E il Comune non ha saputo far di meglio per gareggiare con la retorica assirobabilonese della stazione e l´orgoglio modernista del grattacielo di alzare un monumento di luce, dicevano, che i milanesi hanno ribattezzato “la branda” e adesso vogliono togliere e nascondere in un mega centro commerciale alla periferia. Fanno finta di niente i milanesi, ma soffrono a vedere il Pirellone grigio di fumo, sventrato, ferito. E´ un pezzo della loro storia che è stato toccato e questa città che sembra sempre pensare ad altro, ai soldi, al lavoro, al fare ha un cuore sensibile e pudico, che sanguina certe volte quando è offeso e tradito, foss´anche da una sorte casuale e beffarda. Ma non lo ammetteranno mai i milanesi, anche i figli di quell´immigrante che d´estate tornano al paese ma non possono più vivere lontano dalla loro città. E così il Pirellone tornerà come prima, non c´è dubbio, e si lavorerà ferocemente perché tutto sia cancellato. E nessuno vorrà nemmeno parlare di quel che è successo ieri. Funziona la metropolitana? Ma certo, si salta solo la fermata “stazione centrale”. Questa è Milano, questo è quello che vuole si veda, questo è quello che si impone in faccia al mondo. Ma dentro, dentro è un´altra cosa.