Università Cattolica del Sacro Cuore

I numeri sono domande per l´Italia che cambia

Escono i dati dell´ultimo censimento, la fotografia dell´Italia all´inizio del terzo millennio. Più famiglie, ma più piccole, e in crescita quelle mononucleari; la novità degli immigrati, più evidente al Nord, ancora trascurabile al Sud. Anche se l´Istat giudiziosamente osserva che si tratta di un fenomeno molto limitato (17,5 stranieri ogni mille abitanti) rispetto alla situazione degli altri grandi Paesi europei. E dentro al quale stanno tanto gli extracomunitari africani quanto quelli europei e americani con nuove professionalità venuti a lavorare in Italia e che poco corrispondono al cliché dell´immigrato, come gli italiani superspecializzati i quali varcano l´oceano e tecnicamente sono anch´essi degli emigranti, pur non avendo niente a che vedere con i loro poveri bisnonni contadini dalle valigie di cartone. Un´Italia ancora, ci dice l´Istat, stabile nel numero complessivo dei suoi abitanti (56 milioni), ma solamente perché si vive più a lungo e dunque tale stabilità è illusoria e forse provvisoria, sbilanciata nelle fasce di età a danno dei più giovani. Questi primi dati, si dirà, non ci dicono nulla che non fosse a grandi linee già senso comune, ci confermano con l´esattezza dei numeri il senso di un mutamento che si percepisce quotidianamente nel panorama umano di città e paesi. Probabilmente, quando altri elementi saranno disponibili e la fotografia più dettagliata scopriremo in effetti anche ciò di cui a colpo d´occhio non siamo consapevoli, ma già a questo stadio, il censimento con il suo far punto sulle impressioni irriflesse è purtuttavia utile. Un conto è una sensazione vaga infatti, un conto l´esattezza matematica. E questa ci invita a riflettere su come stiamo cambiando, che lo vogliamo o no. Le linee del mutamento sono infatti quelle che si avvertivano dieci anni fa e che però, al tempo stesso, sarebbero state impensabili nel dopoguerra quando, ad esempio, nel Nord Est le famiglie avevano una media di 4,2 componenti contro i 2,5 di oggi. Questo per dire che non esiste un fato ineluttabile nella demografia, ma come al tempo stesso gli svolgimenti che rappresenta, non si possano controllare con leggi ed editti poiché appartengono a sommovimenti culturali profondi. Se la grande maggioranza degli immigrati è composta da maschi adulti, ad esempio, è illusorio pensare di evitare o i matrimoni misti o le ricongiunzioni familiari. E se gli immigrati sono triplicati in dieci anni vuol dire che c´è un mercato del lavoro che li richiede e non riesce a farne a meno. E se gli italiani fanno meno figli, non saranno le esortazioni del Presidente della Repubblica a far loro cambiare atteggiamento. Come l´emergere dell´immigrazione obbliga a pensare nuove regole rispettose della dignità degli immigrati e che mirino ad integrarli, più che inutili divieti, così sarà una diversa politica nei confronti della famiglia che potrà dare nel medio periodo dei frutti di inversione della tendenza. Ma essa deriverà solo da una riflessione su che significa oggi formare una famiglia. Un tema su cui vi è invece, mi sembra, un silenzio assordante. Quelli dell´Istat sono numeri ma, credo sia chiaro, si leggono meglio come domande che come affermazioni.

28/03/2002