Università Cattolica del Sacro Cuore

I proclami fanno male alla Rai

Alla Rai faremo una rivoluzione culturale, proclama il presidente Baldassarre. Niente meno. Daremo spazio a tutte le culture, anche a quelle della società civile (ah sì? e cosa vorrà dire?) e garantiremo il pluralismo, non come prima una sola cultura. Perbacco. E tanto per spiegarsi annuncia che c´è da riscrivere la storia d´Italia, e sa già come fare:... bisogna dare spazio al ruolo delle culture di destra che tanto hanno fatto per la costruzione del concetto di Stato. Ma bravo. Non bastasse, si vede combattere armato della sola forza delle idee coi sindacati che non vorranno rinunciare ai loro privilegi, e fare guerra a chi ha gestito in passato le assunzioni senza concorsi e in base a criteri cogestiti. Che dire? Buon sangue non mente. Memore dei suoi trascorsi a sinistra il Presidente ha i suoi modelli, e si propone come nipotino dell´inventore della rivoluzione culturale, e rivoluzionario moralizzatore (a parole), il presidente Mao. E infatti quelli rimasti dall´altra parte riconoscono subito a che gioco si gioca. E in automatico partono le considerazioni sull´“annuncio squadristico” e il ritorno mediatico al Ministero della Cultura popolare, opportunamente condite con stracciamento di vesti e sarcasmi assortiti. Così la zuffa è servita, tutti si salvano l´anima, e la lotta di parole può continuare. Quanto ai problemi, possono dormire. Invece di strombettate, non sarebbe stato meglio annunciare sobriamente che per l´ingresso in Rai si ricorrerà d´ora in poi di regola ai concorsi, e così magari per i passaggi di funzione? E quanto al pluralismo, non sarebbe stato meglio avviarne la pratica, e parlare poi, quando se ne potessero vedere i risultati? L´albero si giudica dai frutti. Non è una massima del Presidente e Grande Timoniere, ma funziona da 2000 anni, ed è difficilmente contestabile. La politica degli annunci, così cara agli attuali uomini di governo, andrà bene per le campagne pubblicitarie, ma alla lunga si ritorce contro chi la pratica. Proprio se è vero che le resistenze e gli avversari sono così forti, non sarà il caso infatti di accreditare mirabolanti speranze e risultati. Rivoluzione culturale? Ma via, ci accontenteremmo d´un presidente che dicesse, voglio fare una Rai seria, dignitosa, e cercherò le persone giuste per farla, quali che siano le loro idee. Potrebbe pure ricordare anche a questo proposito il vecchio Mao per il quale non importava il colore dei gatti purché prendessero i topi. E poi chi avrà più filo, più tesserà. Il fatto di fondo, e davvero allarmante, è che da queste dichiarazioni vien fuori una strana idea di cultura, e di battaglia culturale. La convinzione che per entrambe ci voglia un´ arbitro Moreno che faccia vincere la squadra giusta con mezzi diversi da quelli del confronto sul campo. Viene il dubbio che Baldassarre e quelli come lui, e non stanno solo alla RAI e nel governo ma un poco dappertutto, siano in realtà sotto sotto convinti che “gli altri”abbiano ragione, abbiano più ragioni cioè. Ragioni che si sentono più o meno oscuramente a sè estranee ma rispetto alle quali sul piano della cultura non si sa bene come replicare. Perché in realtà non si è davvero studiato e riflettuto. E allora, ecco gli annunci suicidi, come sarebbe il proclamare la necessità di rivedere la storia d´Italia stabilendo già cosa vi si deve trovare, ecco allora la politica del corteggiamento e della seduzione per gli avversari cui si concedono, per principio, posti e prebende immaginando così di comprarli, e il ripescaggio di vecchi arnesi dismessi per incapacità piuttosto che per discriminazione politica, o di transfughi ormai bolliti (il famoso sociologo, il giurista o il politologo dai mille passati e altrettanti futuri) esentati dal pensare oltre dovendo solo eseguire i prescritti compitini. E, infine la delusione e il ritrarsi di tutti coloro che avevano deprecato le faziosità di prima ma non sono disposti ad essere usati come burattini. Quale sarà, per dire, lo storico serio che vorrà fare un programma di cui gli è preventivamente dettato il fine da un qualunque presidente? Ma davvero si può fare a meno del coraggio delle idee? La crisi verticale della cultura cosiddetta “di sinistra” finora egemone e attualmente incapace di uscire dai propri schemi non ha evidentemente insegnato niente. Se non forse come diventare con qualche bel salto, presidenti, direttori, consulenti. Nani e ballerine insomma.

18/07/2002