Università Cattolica del Sacro Cuore

Il collasso viene da lontano

I rettori si dimettono. Contro le scelte del governo e i tagli della spesa per l’istruzione e la ricerca. Questo annuncia il presidente della loro conferenza permanente. Non era mai accaduto che l’università italiana compisse un gesto così forte e unanime. Né che si annunciasse il collasso del sistema entro due o tre anni, e addirittura la prossima possibilità di pagare gli stipendi, come accade ora.
La mitologia contemporanea rappresenta i docenti universitari come potenti baroni che attraversano lo spazio seguiti da schiere di reverenti assistenti, ricchissimi professionisti troppo impegnati delle loro attività private per curarsi degli studenti, arroganti dispensatori di favori accademici imperscrutabilmente decisi e vergognosamente concessi al più servile o corrotto, epici duellanti in concorsi nei quali il merito sarebbe l’ultimo dei criteri. Come in qualunque ambiente di lavoro ci sono i buoni e i cattivi, quelli seri e quelli meno, ma chiunque lavori nell’università sa che nella realtà quotidiana l’immagine corrusca degli accademici Principi del male riguarda una minuscola minoranza, come pochi sono coloro che possono intrecciare lucrativamente scienza e professione, o ambiziosamente scienza e potere.
Gli altri hanno scoperto sulla propria pelle che la giovanile passione per lo studio e la ricerca, la quale ha fatto loro scegliere la carriera universitaria, si scontra ogni anno di più con la burocratizzazione dell’istituzione, la miseria dei finanziamenti, l’indifferenza della società pronta ad applaudire degli exploit eccezionali ma noncurante di quanta coltivazione di sapere ci voglia per produrli, l´ossequio formale al sapere e il disprezzo sostanziale per chi vi si dedica, l´impreparazione di studenti che si portano dietro i difetti d´una scuola di cui a loro volta gli insegnanti lamentano i limiti. Così che alla fine è spesso il tempo ufficialmente di vacanza quello nel quale si può finalmente studiare con tranquillità e continuità mentre il tempo di lavoro è speso a cercar finanziamenti, a far fronte a incombenze defatiganti e improprie, negli ultimi anni anche a rincorrere i diktat ministeriali intesi a produrre con minuzia burocratica…l´autonomia universitaria. Non si tratta, evidentemente, di sostituire uno stereotipo virtuoso a quello vizioso dominante, ma sarebbe ora che ci si rendesse conto della difficoltà quotidiana e “normale” entro cui sta il sistema universitario. Un sistema che ha dovuto trasformarsi profondamente in pochi decenni per assicurare una scolarità di massa al livello più alto, ma l´ha dovuto fare in assenza di un progetto politico e di una consapevolezza culturale di quanto stava avvenendo là dove per rispondere a una impellente domanda sociale si passava dai tremilacinquecento professori di ruolo degli Anni Cinquanta agli oltre cinquantamila di oggi, dalle poche migliaia di studenti d´allora al milione di oggi, e dove l´università era chiamata schizofreneticamente a dare sempre più ricerca e sempre più insegnamento, senza adeguarle dotazioni e strutture, né ripensare organicamente il suo rapporto con le esigenze e le attese della società. La piccola e elitaria università disegnata nel tardo Ottocento per formare i professionisti di una società ristretta e i tecnici di una amministrazione pubblica intesa a svolgere pochi compiti essenziali così è venuta su deforme, come un nano costretto a diventare gigante, e al tempo stesso ha finito per rinchiudersi sempre più nei propri problemi di crescita e nello spasmodico tentativo di reggere la quotidianità di quel corpo che più cresceva più si sformava, e rispetto al quale il fatto che nessuno riconoscesse più le regolari fattezze originarie mentre ne constatava l´aspetto sfigurato, accresceva distacco e incomprensione. Quelli che ora vengono allo scoperto nell´indifferenza governativa per il settore scolastico e universitario, il debole corpaccione sul quale si può tagliare e risparmiare senza ritegno, e soprattutto senza progetto; quelli che i rettori con la loro iniziativa vogliono scuotere avvisando che mangiar oggi il grano in erba significa carestia domani, e che è inutile volersi pavoneggiare come grandi protagonisti economici e politici sulla scena internazionale se alle spalle non si ha un sistema per la ricerca e la formazione, che la genialità e l´inventiva non possono sopperire per molto tempo alla mancanza di strutture. Ne converrebbe qualunque persona di buon senso, qualunque imprenditore. Di certo anche Berlusconi. E allora, un po´ di linearità e di serietà, dimostri di comprendere questa emergenza nazionale, questo franare delle nostre istituzioni di formazione e ricerca. Non gli si chiede di risolvere tutto in quattro e quattr´otto, come sarebbe capace con i problemi della Fiat. Ma almeno un disegno, un progetto, la delineazione di un percorso. E se no, che governa a fare?

11/12/2002