Università Cattolica del Sacro Cuore

Il Parlamento, la sede per fare le riforme

Il discorso del procuratore generale di Milano Borrelli ha suscitato - come ci si poteva immaginare - una valanga di commenti. Scontati quelli critici e irritati del centrodestra, vale la pena di soffermarsi sugli altri per notarne una particolarità. Mentre i politici, da Rutelli a Diliberto passando per D´Alema, hanno apprezzato senza riserve la relazione milanese e le altre che nei diversi distretti giudiziari le hanno fatto eco, sono stati i giornali solitamente critici con il governo a esprimere dubbi e cautele. Valga per tutti il commento sintetico de “Il manifesto” che, lamentando la mancanza di un leader della sinistra, invita a pensarci un po´ prima di gettarsi, per questo, nelle accoglienti braccia dello stesso procuratore Borrelli. Sarà che i giornalisti hanno avuto il tempo di riflettere negato ai commenti a caldo dei politici ma, evidentemente, quell´invito a una nuova resistenza patriottica sull´ultima linea di un Piave della legalità presidiata solo dai magistrati, ha lasciato perplessi appena si è dileguato l´effetto emotivo del discorso. Non è difficile coglierne le ragioni, sintetizzabili nel timore che una presa di posizione così violenta nei confronti del governo finisca per stravolgere i rapporti fra i poteri e le funzioni dello Stato e delegittimi alla fin fine lo stesso Parlamento, scavalcato dai magistrati nella sua funzione di luogo del dibattito politico e del confronto democratico. E avvantaggi alla fine il governo che può lamentare il non rispetto delle regole del gioco dello Stato di diritto e sottolineare come i magistrati - corpo non eletto e la cui legittimazione sta nel garantire l´esecuzione della legge - si ergano a controparte politica di una maggioranza democraticamente votata e incaricata dal popolo di governare, travolgendo in tal modo le regole costituzionali. Certo, come ricorda ancora “Il manifesto”, vi sono pur state maggioranze popolari che hanno aperto la strada alla dittatura, ma è difficile comparare l´Italia di oggi con la Germania di Weimar proprio perché non vi sono bande armate rosse o brune che scorrazzano per le città, né miseria e iperinflazione, nemmeno uno Stato avvilito e isolato da una guerra appena perduta e schiacciato dall´arroganza miope degli Stati-nazione vincitori e vendicatori. Chi ha votato per il centrodestra non vi ha cercato, in preda alla disperazione, ordine e disciplina, semmai più ricca articolazione sociale ed economica e un più ragionevole esercizio della libertà individuale. La coralità delle proteste dei magistrati dimostra senza dubbio l´esistenza di un problema, ma l´appiattimento dei politici dell´opposizione sulla linea dell´indignazione morale, come quasi sempre in questi mesi, dimostra una loro drammatica debolezza. Così dopo essersi accodati a Di Pietro, senatore del rosso Mugello, sposano la causa di Borrelli o si inventano improbabili bandiere, come Ruggiero - quello che una volta si sarebbe definito l´uomo del grande capitale diventato all´improvviso, dimettendosi, un uomo di sinistra, senza che poi si sia fatto il minimo sforzo per articolare una linea sui problemi sostanziali che quelle dimissioni proponevano - o ci si aggroviglia nella patologica coazione a ripetere i medesimi stereotipi, per cui persino i dubbi interni al governo sulla riforma della scuola vanno ricondotti a un microconflitto di interessi sollevato dalle scuole private. In definitiva tutto si riduce a evocare il rischio non di una politica dittatura, cui nessuno crederebbe, piuttosto di una morale tirannia, contro la quale esercitare una facile indignazione. Il che significa però lasciare completamente nelle mani del governo l´iniziativa politica per adeguare alla mutata costituzione materiale del Paese il suo funzionamento istituzionale - lo si sta vedendo nelle questioni del lavoro e delle pensioni - che è quello di cui al fondo gli italiani hanno bisogno, e per aver il quale sono disposti, se del caso, anche a turarsi il naso. L´hanno fatto con la Dc per tanti anni, ed è difficile dire oggi che fosse la scelta peggiore. E in ogni modo indica che sollevare la questione morale senza saperle dare una prospettiva politica non porta da nessuna parte, se non forse a debilitare il sistema democratico.

14/01/2002