- Milano
- Dipartimento di Storia moderna e contemporanea
- Carte Mozzarelli
- 2002
- Il terreno della politica dev´essere il bene comune
Il terreno della politica dev´essere il bene comune
C´era una volta il Tevere più largo, come sosteneva lo storico e politico repubblicano Giovanni Spadolini. E qualcuno temeva che la visita del Papa al nostro Parlamento lo potesse rendere più stretto. Direi che, quasi quasi, il risultato è opposto. Che l´Italia e la Santa Sede fossero due realtà difficilmente comparabili era stato l´insegnamento di un altro grande studioso, Jemolo, il quale concludeva la sua ricostruzione dei rapporti fra Chiesa e Stato italiano osservando che la coesistenza in Roma di due autorità differenti tanto più sarebbe stata facile quanto più entrambe avessero avuto chiare la diversa qualità e ampiezza del loro ruolo e importanza. In questo senso l´aver il Papa accettato l´invito a parlare nel Parlamento nazionale è forse più un omaggio che egli ha fatto all´Italia che non viceversa. La stessa scelta di ricordare i suoi predecessori solo a partire da quel Pio XI che chiuse la questione romana con la Conciliazione fra Stato e Chiesa, ma al tempo stesso il riconoscimento d´una storia di rapporti fatta anche talvolta di “vicissitudini” e “incomprensioni”, hanno costituito nel discorso del Papa due aspetti intrinsecamente legati. Da un lato il Pontefice fissando nella Conciliazione il tempo di un nuovo inizio nei rapporti fra Chiesa e Stato italiano ha chiuso la porta a qualunque oltranzismo religioso, dall´altro ricordando che non sempre i rapporti sono stati facili riconosce che essi sono soggetti alla storia e vanno faticosamente costruiti giorno per giorno, nella mutevolezza dei problemi e delle circostanze, con buona volontà reciproca. Se qualcuno invitando il Papa aveva pensato di poterne giocare le parole a proprio vantaggio politico interno sarà probabilmente rimasto deluso, così come chi ne temeva un danno per la propria parte. Il Pontefice infatti ha tenuto un discorso da par suo, alto e riflessivo ma ben poco utilizzabile nella lotta politica. Sono state ribadite alcune preoccupazioni molto generali, come quelle relative ai criteri e valori su cui si pensa di costruire l´Europa unita nel timore che i fondamenti cristiani della sua cultura siano dimenticati per stanchi pregiudizi antireligiosi - ma questo è discorso che chiama in causa laici e cattolici, e gli altri europei non meno degli italiani - e l´Italia è stata ricordata come caso esemplare dell´impossibilità di dimenticare una storia impastata di cristianesimo. È stato ribadito come il relativismo etico sia una via solo apparentemente democratica di fondazione del rapporto sociale, ma il richiamo al bene comune come compito della politica ci ha ricordato che se non può non esistere un rapporto fra etica e politica, e l´opportunità d´una tensione anche religiosa alla verità, esiste tuttavia un ambito specifico della politica con un suo fine terreno nella definizione comune del quale differenti ispirazioni e sensibilità non possono non ricercare un accordo e una mediazione sempre storica e provvisoria. Né il richiamo alla coesione e solidarietà necessarie all´Italia al pari della valorizzazione delle differenze che la attraversano si prestano a interpretazioni di parte. Si tratta di un invito a ricordare che non si può dare concordia e comprensione senza reciproco riconoscimento della specificità di ciascuno. Molti sono i carismi, e differenti i talenti avrebbe potuto dire con linguaggio biblico, e non esiste un totalitario modello di uomo o di storia nel quale ci si deve annullare. Né il punto sul quale le parole del Papa erano attese per esser passate al microscopio sembrano voler interferire con la sovranità delle scelte italiane. Chiedere un segno di clemenza senza concretizzarlo in una proposta pur minima - la riduzione della pena - avrebbe potuto in effetti dar luogo a maggiori dibattiti e diffidenti interpretazioni di quanto tale cenno non possa fare. E ancora una volta si tratta d´una riflessione sulla necessità, di non disgiungere due valori differenti assolutizzandone uno soltanto fino all´ingiustizia. Da un lato sta il bene della necessaria tutela della società, espressamente richiamato, dall´altro il non negare la speranza d´una capacità di riabilitazione per chi si è comportato in modo socialmente inaccettabile. È un criterio etico, e come tale interpella la politica, ma tocca al Parlamento, cui è stato ricordato, non al Papa decidere cosa ciò possa significare in questo momento nel nostro Paese. Come negli altri temi toccati, il Pontefice ha fatto la sua parte. A noi riflettere su quale sia la nostra.
15/11/2002