- Milano
- Dipartimento di Storia moderna e contemporanea
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- 2002
- L´orgoglio del Cavallino dato in pegno alle banche
L´orgoglio del Cavallino dato in pegno alle banche
Con un anticipo che non si ricorda, e una superiorità altrettanto straordinaria, la Ferrari ha già vinto il campionato del mondo. Schumacher ha dimostrato di essere un pilota di gran razza e, ciliegina sulla torta della soddisfazione generale, ha pure raggiunto il record di Fangio di cinque mondiali vinti. Non c´è più nessuno da raggiungere, e saranno i suoi record d´ora in poi a costituire il traguardo futuro per gli altri, piloti e scuderia. Ed è stato bello oggi vederlo emozionarsi sul palco, come prima zigzagare in segno di gioia passando il traguardo. Non è lo scanzonato scavezzacollo della Riviera adriatica Valentino Rossi, il teutonico Michael. Non ne ha né l´età né lo stile, e finora “numeri” non ne aveva mai fatti, al più aveva alzato i pugni vincendo. Ci volevano cinque titoli per sgelarlo pubblicamente, farlo piangere e abbracciare con trasporto quasi soffocandolo, lui alto e atletico, il piccolo e rotondetto Jean Todd. Peccato mancasse alla festa Barrichello. Gli altri c´erano tutti però. Già, perché in uno sport come questo nessuno può ormai vincere da solo, anche se, per paradosso solo apparente, nemmeno si può fare a meno della personalità eccezionale, e non solo al volante. In effetti, il trionfo della Ferrari è il risultato di tanti numeri uno che, meccanici o progettisti, tattici di gara o dirigenti, piloti e collaudatori, hanno faticato per anni, fianco a fianco, per portare là in cima un uomo, certo, ma anche tutto un lavoro comune. E quale che sia l´ambito della nostra attività, è un insegnamento che ci riguarda comunque. Immaginare che per primeggiare ci si debba circondare di stupidi che non fanno ombra significa destinarsi prima o poi, nello sport come in politica, nella ricerca come negli affari, al fallimento. E significa pure non esser così intelligenti come si crede. Che poi questo capolavoro di impegno e serietà sia accaduto in Italia ci rende ancor più felici. Non perché non lo credessimo possibile ma perché dovrebbe aiutarci a dimenticare quel tono vagamente commiseratorio e desideroso di indulgenza altrui nel parlare di noi stessi che per tanti motivi storici ci si è appiccicato addosso. Insomma, far le cose “all´italiana” preferiamo pensare che oggi significhi sempre più farle alla maniera della Ferrari, e che ne sia simbolo non lo stellone ma semmai quel cavallino rampante avanti a tutti, e che l´Italia non è l´Italietta. Come oggettivamente non è, ma come trova comodo talvolta ancora rappresentarsi per sfuggire alle responsabilità di paese ricco, vitale e parte inevitabile di scelte e strategie globali. E anche a questo proposito di nuovo la vittoria della Ferrari ci invita, dopo aver gioito, a riflettere. Era nata la Ferrari come l´impresa di un uomo solo, è divenuta poi pezzo e patrimonio della Fiat. Adesso almeno in parte delle banche. Magari va bene così, è la soluzione migliore per i tempi nuovi; anche la vendita dei gioielli di famiglia può diventare un investimento. Però di certo questo parziale trapasso di proprietà ci fornisce la riprova di quanto sopra si diceva. Non si può esser bravi da soli. Non Schumacher senza la Ferrari, non la Ferrari senza qualcuno che faccia con essa sistema. E lo faccia nel modo migliore possibile. E lo faccia sempre. Questo campionato è stato vinto, e alla grande, ma l´anno prossimo se ne corre un altro. Come sempre nella vita. Poi certo, si può decidere che a un certo momento è giusto ritirarsi, o cambiare passo. E che nemmeno si possa sempre vincere è certo. Ma insomma, per strano che possa sembrare, dobbiamo sperare nelle banche e nella loro eccellenza per far piangere di nuovo Schumacher. E un po´ d´esperienza in proposito mi dicono che le banche dovrebbero averla.
22/07/2002