Università Cattolica del Sacro Cuore

Riforma della scuola. Ma il più, ed è tanto, resta da fare

 

Forse è esagerato l´entusiasmo del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per la novità della riforma Moratti, paragonata addirittura a quella di Gentile, ma non vi è dubbio che siamo in presenza di un´organica razionalizzazione del sistema scolastico. Era dai tempi dell´introduzione della scuola media unica quarant´anni fa che la scuola italiana veniva aggiornata a pezzi e a bocconi, con interventi magari utili ma sempre parziali. Di contro alla presunzione berlingueriana di cambiare tutto, prendendo però a modello esperienze già condannate dalla storia, quale per i cicli il sistema della defunta Repubblica comunista tedesca, osservare come l´attuale governo si sia mosso facendo i conti con la tradizione italiana e preoccupandosi più di riordinare e semplificare che di inventare fantasiosamente, è già fargli un grosso complimento. Sarebbe ora che del ragionevole - e non d´una pretesa ragione assoluta - si tenesse conto nel fare le riforme. Senza dubbio, da questo punto di vista, l´elemento più importante è il potenziamento dell´istruzione professionale, penalizzata finora da non detti moralismi ideologici - come se l´opportunità della formazione al lavoro fosse un marchio d´infamia - e che dovrebbe offrire una valida alternativa al coatto proseguimento degli studi dopo la scuola media. Del pari importante è la semplificazione del sistema delle scuole superiori, ora frammentato in una miriade di istituti e ridotto a sette licei con la ristrutturazione di superiori ormai superate dalla riforma stessa, come sono gli istituti magistrali una volta stabilita la laurea anche per i maestri. Bene pure la salvaguardia del classico come sottolineatura della fiducia nella vitalità della tradizione umanistica che ha costituito l´asse della cultura europea. Altre misure hanno un sapore più simbolico che sostanziale. È il caso dell´esame di Stato alla fine della terza media: ma anche stabilire un formale rito di passaggio, dimostrare che si vuole prender sul serio la scuola e chi vi lavora, è in questo momento mandare un segnale forte e necessario. Il ministro Moratti ha insistito sul fatto che la riforma prefigura una scuola rispettosa delle scelte educative delle famiglie, preoccupata della formazione morale e spirituale, attenta a sviluppare una coscienza storica, il senso dell´appartenenza fra la polarità del locale e quella a tutti comune dell´Europa. Sono tutte affermazioni condivisibili, indirizzi opportuni. Si tratterà ora di vedere come si riempiranno di contenuti. Si tratterà insomma di vedere come si tradurranno in programmi di studio - bene prevedere due lingue straniere, ma finalmente la scuola le saprà insegnare? - e in scelte nella formazione degli insegnanti. Perché non vi è dubbio che questa riforma della scuola investe radicalmente anche il sistema universitario. A voler essere coerenti con le impostazioni sopra dette dovrebbe essere rafforzata la formazione culturale degli insegnanti, la loro consapevolezza come educatori. Nel senso non di una esaltazione paga di se stessa degli strumenti psicopedagogici secondo un indirizzo purtroppo prevalente nelle facoltà di Scienze della formazione, ma di un approfondimento del senso e delle ragioni di ciò che si va a insegnare. Occorrono insegnanti che, per primi, abbiano potuto maturare nel corso dei loro studi la coscienza critica del valore di ciò che insegneranno e di come le pagine più recenti, e quelle nuove ancora da scrivere, si comprendano solo in relazione alle precedenti, né dipendano tanto dalla qualità del pennino - le transeunti tecniche educative - quanto dal solido sapere professionale e dalla piena consapevolezza civile di chi quella penna impugna. Le dichiarazioni del ministro sembrano dimostrare la coscienza di ciò. E insomma, se il buon giorno si vede dal mattino, possiamo essere ragionevolmente soddisfatti del nuovo progetto. Sapendo però che il più, ed è tanto, resta da fare.

02/02/2002