- Milano
- Dipartimento di Storia moderna e contemporanea
- Carte Mozzarelli
- 2002
- Se il presepio ci parla
Se il presepio ci parla
Quest’anno in famiglia ci siamo regalati un presepe. Mia moglie ed io senza aver mai parlato prima abbiamo scoperto un po’ per caso che ci sarebbe piaciuto averne uno proprio bello e del tutto tradizionale. E così è stato, anche se per ora è ridotto all’essenziale, giusto i tre protagonisti principali. Gli altri arriveranno negli anni prossimi, un poco per volta. L’abbiamo sempre fatto, un presepio, ma era quasi un modesto completamento dell’albero, un atto dovuto: adesso ha preso il posto più importante.
E ora che sta là, contornato dalle foto di famiglia che gli hanno fatto spazio, mi chiedo come mai ci sia venuto questo desiderio. Una forma molto snob di consumismo? Interrogatomi, in coscienza mi pare di poter rispondere che no. La strategia d’acquisto sarebbe stata diversa. Una nostalgia infantile? Nemmeno. Dei sentimentalismi natalizi continua a diffidare. La risposta più convincente m’è venuta dalla predica della Messa di Natale, quando il celebrante ha ricordato che l’origine della tradizione del presepe, nella prospettiva di San Francesco, questa rappresentazione voleva sottolineare l’umanità del Cristo, e come questa sia stata poi sempre una caratteristica della Chiesa latina, e della cattolica in particolare.
Il Gesù bambino e il Cristo crocefisso, le due rappresentazioni più sconvolgenti di un Dio umano, troppo umano, sono infatti per noi le più usuali, diversamente da quanto accade ad esempio nella Chiesa ortodossa, o per altro verso in quelle protestanti che ricordano la croce ma diffidano della rappresentazione del crocefisso. Il nostro invece è un Dio visto in modo privilegiato nei momenti dell´impotenza assoluta, da neonato bisognoso delle cure dei genitori, da moribondo al di là di ogni possibile soccorso. Un Dio in cui si ritrova perciò il volto e l´esperienza d´ogni uomo, un Dio insomma, si vorrebbe dire, che sa di quel che parla, e quel che ci serve, quando ci promette aiuto e salvezza. E al tempo stesso un Dio che accetta tutti gli inconvenienti e i limiti dell´esperienza umana. Adesso ci spiegano che Giuseppe non era forse così povero come credevamo, era un piccolo imprenditore, settore legno, e che la stalla non era proprio una stalla, piuttosto una dependance dell´albergo e la mangiatoia magari un modo per dire che là ci si doveva un poco arrangiare, visto che le suites erano tutte occupate. Resta il fatto che una stanza migliore a Giuseppe non gliel´hanno trovata, come sarebbe accaduto anche duemila anni fa per una persona importante e danarosa, e che il parto non dev´essere avvenuto nelle migliori condizioni. E che là parenti e amici a dar assistenza e conforto non ce n´erano se a rallegrarsi sono venuti solo dei pastori. Neanche l´albergatore, parrebbe. Così, la si giri come si vuole, il presepe ci mette comunque di fronte a un neonato non particolarmente fortunato, a una vicenda piena di inconvenienti e contrattempi, a dir poco. Proprio come accade sempre nella vita, che non va mai esattamente come vorremmo, anche quando non va davvero male, e nella quale un filo si scopre più spesso dopo, nei fatti piuttosto che non prima nei progetti. Sì, anche i Magi non erano tre e non si chiamavano coi nomi che loro abbiamo dato, e forse sono arrivati l´anno dopo e non a poche settimane dal parto. Che importa, il loro arrivo è una conseguenza non prevista, un fatto incongruo, da accettare senza volerlo piegare a tutti i costi in un disegno che si governa razionalmente, come tanto di quel che ci accade. Ma al tempo stesso dal bambino che non sembrava proprio nato sotto una buona stella (e sì, anche la cometa non era una cometa, forse una congiunzione astrale), come poi dalla rappresentazione di quel giovane sfigurato dalle percosse e dal dolore, ci viene anche la testimonianza di una forza che stupisce, e garantisce. Arriva chi non si aspetta da una parte, e dall´altra persino il centurione romano di servizio per la crocefissione, un incarico d´ordine pubblico di nessuna soddisfazione tanto che per renderselo sopportabile deve inventarsi uno sberleffo ai presuntuosi sudditi locali col cartello che annuncia l´identità del condannato quale loro re, il quale deve ammettere come qualcosa non torni in quella morte, ci sia un mistero. Tanto profondo e tanto importante da meritare che ci si perda anche nella umile contemplazione di quelle statuine, di quel bambinello. E a voi, cosa pensate che dica il presepe?
27/12/2002