Università Cattolica del Sacro Cuore

Una festa di popolo. Ma non è folclore

È senz´altro vero che questo campionato falsato da arbitraggi scandalosi, condizionato dai soldi, attraversato dagli interessi degli sponsor e dalle lotte intestine agli organismi internazionali, persino ispirato da preoccupazioni geopolitiche, con quel suo accomunare due paesi profondamente ostili e divisi fra loro dalla storia come Giappone e Corea, ci ha lasciato con l´amaro in bocca. E però alla fine in qualche modo è risultato irriducibile a questi soli aspetti. Meno appassionante ed esaltante di quanto tutti speravamo, e non solo perché l´Italia è uscita presto, ci ha lasciato comunque immagini e vicende che colpiscono. È stato bello vedere due giorni fa alla fine di una partita combattuta, e leale, coreani e turchi abbracciarsi per ricevere assieme l´applauso del pubblico, così come ieri osservare nella finale non solo due modi diversi di intendere il calcio ma, in definitiva e senza esagerazione la vita. Da una parte vi era il senso fortissimo dell´essere squadra sul campo dei tedeschi, il loro giocare tutti per uno e uno per tutti, e impegnarsi fino alla fine, e perdere con grande dignità avendo dato il massimo. Sembra di dar corpo agli stereotipi sul tedesco, ma l´esempio di serietà e passione offertoci da questa squadra tenace, va oltre quegli stereotipi e ci offre un modello che riguarda tutti. L´allenatore Voeller l´aveva detto di essere consapevole dell´inferiorità dei suoi rispetto ai brasiliani ma questo non ha impedito loro di giocare a viso aperto. Anzi la difficoltà di riuscire li ha spronati a tentare. Andasse poi come doveva andare, e vincesse il migliore. Dall´altra parte c´era un assortimento di straordinari giocatori, ciascuno per sé un campione, individualità eccezionali capaci in qualunque momento di inventarsi giocate impossibili, ma così fiduciosi di sé da correre più volte il rischio di farsi battere dai tedeschi. Quasi irritanti, questi brasiliani, tanto nel loro giochicchiare quanto nell´improvvisa e quasi casuale esibizione di una superiore capacità. Raccomandava una antica massima del ben vivere, soprattutto di non esagerare nello zelo, di mantenere un certo distacco in qualunque circostanza. Giocavano con impegno alterno ma con leggerezza i brasiliani, e però alla fine non erano meno seri dei tedeschi. Tant´è vero che questi ultimi non sono riusciti a passare. Dunque c´è un modo per essere seri senza esser seriosi, di far le cose bene senza rinunciare a un pizzico - e forse più - di indisciplina e di fantasia, di affrontare le difficoltà non solo caricando a testa bassa ma mettendo a frutto le proprie differenti doti, di giungere al risultato a modo proprio, anche se non è quello prescritto dall´ultimo manuale delle istruzioni. E tutto questo è stato confermato nel dopopartita quando la squadra brasiliana si è raccolta sul campo come in preghiera e ha pure ricordato con uno striscione il compagno che, infortunatosi prima dell´inizio del torneo, non aveva potuto partecipare a quella gioia. Chi ringraziassero, Dio o la buona sorte, a chi volgessero il pensiero davvero nello srotolare quello striscione non possiamo dire. E però in quei gesti vi era almeno la tentazione del bene, la disponibilità a guardare oltre sé, l´ispirazione di condividere il successo, il mostrare ai propri tifosi una consapevolezza comune che in qualche modo abbracciava anche loro e loro ringraziava della fiducia. L´entusiasmo dei sostenitori brasiliani è famoso ma non è solo folclore. Come l´Italia del dopoguerra poteva trovare un riscatto alle proprie umiliazioni nelle vittorie di Gino Bartali all´estero, come quella della nostra Nazionale di vent´anni fa osare l´esibizione di un rinnovato patriottismo dopo il trionfo nei Mondiali spagnoli, così i brasiliani che fanno festa ai loro campioni, i quali a loro volta volgono lo sguardo al cielo, esibiscono una speranza di bene, la possibilità d´una felicità certo momentanea e provvisoria, ma fortemente condivisa, la consapevolezza di essere un popolo. Non è tutto e non risolve i problemi di quel Paese, ma è una speranza. Se volete, per l´appunto, una comune tentazione di bene.

01/07/2002