- Milano
- Dipartimento di Storia moderna e contemporanea
- Carte Mozzarelli
- 2003
- Attenti a non ripetere gli errori del passato
Attenti a non ripetere gli errori del passato
La notte scorsa, a Milano, in una rissa fra estremisti di destra e appartenenti ai centri sociali c´è stato un omicidio. Accoltellato, è morto un uomo di ventisei anni. Diversi poliziotti sono rimasti feriti. L´uomo era «di sinistra» ed era, come trasmettono le agenzie, «un ragazzo». Rileverà per la giustizia, non per noi, sapere chi ha cominciato e come si sono svolti i fatti. A noi basta sapere che per una rissa bisogna essere in due. Chi la provoca e chi l´accetta. E che in questo caso nessuno si è tirato indietro. Entrambe le parti hanno messo nel conto lo scontro fisico, e le sue conseguenze: fino alla morte. Ragazzi, si dice, come a circoscrivere l´accaduto, estremisti, come ad allontanarli da noi in un mondo altro e imbecille. Eh no. Non è così. A ventisei anni si è pienamente responsabili di quel che si fa, e quel mondo non è lontano dal nostro. Se alla rissa si arriva, se ci si arriva coi coltelli, è perché si pensa di avere alle spalle un qualche consenso più ampio. Perché «i capi» hanno ostentato sicurezza, hanno lasciato le briglie lunghe, e perché si è annusata un´aria di tolleranza, di ammiccante complicità fuori dal piccolo gruppo. Non sto dicendo che dietro la rissa ci siano dei mandanti occulti, nè che quei disgraziati siano stati manovrati. Sto dicendo che se il livello dello scontro, come si diceva negli orribili Anni Settanta, si alza, ciò accade perché chi pensa di poter affermare le proprie ragioni (ragioni?) con la forza non sente più un orrore generale, un rifiuto fermissimo, per tali sistemi di «lotta politica». Nessuna indulgenza dunque per dei «ragazzi» più che maggiorenni, nessun miserabile sociologicizzare su emarginazione e degrado, o sull´insofferibilità di una condizione sociale. Sono problemi reali, chi lo nega, ma non sono alibi. Soprattutto quando l´omicidio accade in uno scontro non di due individui isolati, ma di due bande, organizzate e riconoscibili, fra due gruppi che rivendicano una identità, e dunque un progetto, la capacità di dare un senso comune alla vita. Ma ancor più nessun giochetto di partiti e movimenti, di ricerca delle responsabilità altrui e di negazione di quelle di chi ci sarebbe meno lontano per prospettive e parte. Non ci sono buoni da scusare e cattivi da condannare. C´è un metodo di confronto, fatto di sopraffazione e violenza, che va condannato assolutamente, quale che sia l´appartenenza di chi è morto. La violenza endemica degli anni di piombo era l´effetto di un atteggiamento ambiguo delle forze politiche rispettabili da entrambe le parti. C´era una grigia e nebbiosa contiguità di ambienti e frequentazioni, di catene di conoscenze che si preferiva non indagare e chiarire, ma di cui si aveva consapevolezza. Ci si chiamava fuori virtuosamente dalla violenza dei compagni e dei camerati, ma nemmeno si agiva in prima persona per stroncarla. Quando le manifestazioni sarebbero state violente si sapeva prima nella Milano degli Anni Settanta. Non si sapeva magari che qualcuno avrebbe tirato fuori una pistola o una bomba a mano, un coltello o una molotov ma nemmeno lo si era messo in una condizione di consapevolezza psicologica e politica che gli rendesse impossibile agire così. Che nessuno dunque osi speculare per interessi di parte su questo fatto tragico, la morte di un uomo, che nessuno ne faccia strumento di polemica politica. O torneremo, un passo dopo l´altro, a ripercorrere le strade che abbiamo già conosciuto e da cui con tanta fatica, e sacrifici - tutti i morti ammazzati per restituire civiltà al nostro Paese, poliziotti e sindacalisti, giudici e gente comune - siamo infine usciti. Sui giornali di oggi ci sono i commenti degli uni e degli altri. Leggiamoli, e ricordiamocene quando parleranno di pace e giustizia, esalteranno gli alti valori della convivenza civile, e così via. Se manca oggi la condanna del metodo violento senza se e senza ma, se non si dichiara almeno la volontà di ricondurre i propri estremisti al confronto democratico, allora sapremo che stanno mentendo sui valori e su tutto il resto. E dovremo ricordarcene al momento del voto.
18/03/2003