- Milano
- Dipartimento di Storia moderna e contemporanea
- Carte Mozzarelli
- 2003
- Così la ferocia del nazismo ha ucciso l´uomo moderno
Così la ferocia del nazismo ha ucciso l´uomo moderno
Il nazismo è durato appena dodici anni, dalla presa del potere nel 1933 alla morte del regime, e di milioni di uomini, nel 1945. Dei totalitarismi che hanno attraversato il Novecento è stato senz´altro il più breve. Anche per questo in una contabilità da macellai il comunismo sovietico e le sue numerose imitazioni per il mondo hanno prodotto più morti e più estesi disastri. E però malgrado nessuno osi più difendere né l´una esperienza né l´altra, mentre può esistere, alla Bertinotti, una proposta di rifondazione del comunismo e ci si può definire ancora comunisti (italiani, ad esempio) senza provocare orrore nei propri alleati politici, non può esistere una esplicita apologia e rivendicazione d´un progetto nazista credibilmente altro rispetto a quello hitleriano con cui apparentarsi. Tant´è vero che chi al nazismo si vuole ancor´oggi richiamare, per incredibile ciò possa sembrare, deve mascherarsi dietro sigle di fantasia e viene comunque qualificato come neo-nazista, cioè di nuovo nazista alla maniera di quelli d´allora, e questo rivendica egli stesso per sé. Il fatto è che mentre la tragica utopia del comunismo si presenta comunque come proposta intesa a includere tutti liberi ed eguali una volta realizzato il mondo perfetto e senza più classi del comunismo stesso, il nazismo no. Si può fare autocritica dell´essere borghesi e capitalisti, del credere in Dio e non in Marx (Lenin, Stalin, Mao, Pol Pot, …), e diventare, così «rieducati», buoni compagni; non si può farlo dell´essere ebrei o slavi, negri o zingari. Il progetto nazista è strutturalmente un progetto per degli eletti predestinati per «razza» ad esserlo, e non può concepire il mondo se non nei termini immutabilmente dicotomici e antagonisti di superuomini dominanti e di sottouomini dominati, dei quali occuparsi solo in quanto utile strumento dei primi. Come ha osservato benissimo Joaquim Fest in un bel volume appena tradotto e dedicato al crollo del regime nazista («La disfatta», Garzanti editore) la specificità del nazismo tra i totalitarismi novecenteschi è di non essere, di non poter e voler essere, un progetto di civilizzazione. Di essere perciò la negazione assoluta, nichilistica per l´appunto, di ciò che la cultura occidentale ha creduto di sé, vuoi affidandosi per la propria finale redenzione e compimento a Dio, vuoi anche, nei secoli ultimi della modernità, secolarizzando quella costitutiva speranza nei termini d´una fede tutta terrena nel progresso «scientifico» e nella ragione umana. In effetti con riguardo al nazismo non è che qualcosa è andato storto nell´esperimento, come si può tuttora credere, con molta ingenuità per vero, sia accaduto nelle diverse progettazioni del comunismo, perché quello nazista nega anche i fondamenti minimi del nostro vivere come uomini eliminando proprio ogni possibilità di compimento generale, d´un destino eguale per tutti. E però, al tempo stesso, il nazismo è anch´esso figlio della nostra cultura, non l´effetto d´una invasione di alieni. Certo, esso si afferma in Germania per una serie di circostanze storiche particolari riconducibili in ultima istanza alla frustrazione di un intero popolo dopo la sconfitta dell´impero e della sua pretesa di superiorità culturale e pratica nella prima guerra mondiale e per la debolezza del sistema democratico che ne prende il posto. Ma ricombina elementi diffusi nella nostra tradizione. È, se vogliamo, il frutto d´una disperazione desunta dall´esame delle possibilità di successo delle nostre speranze moderne e prometeiche nella trasformazione progressiva del mondo condotto, tale esame, usando delle nostre stesse categorie. Proprio per questo la dottrina nazista e la sua obbligata applicazione ci suscitano tanto orrore, ci appaiono intollerabili e irredimibili. Sono lo specchio in cui i nostri tratti appaiono più deformati e ghignanti, ma anche quello che meglio di ogni altro ci indica quanto possiamo trovare, e diventare, al fondo d´un viaggio alla conquista di sé e del mondo intrapreso con tanta arrogante fiducia da noi moderni. Si dice che ad Auschwitz sia morto Dio. In realtà nell´orrore che ci fa il nazismo si cela la paura che là sia morto piuttosto l´uomo moderno. Quello che di Dio pensava di saper fare a meno.
22/01/2003