- Milano
- Dipartimento di Storia moderna e contemporanea
- Carte Mozzarelli
- 2003
- E ora gli attacchi suicidi sono la vera arma proibita
E ora gli attacchi suicidi sono la vera arma proibita
Si temeva da parte di Saddam l´uso di armi proibite di distruzione di massa, chimiche, batteriologiche. È possibile che le tiri fuori prima o poi. Magari in una situazione estrema, perché il loro uso legittimerebbe ex post ma in modo universalmente chiaro l´attacco americano. Per ora l´arma più temibile che ha messo in campo è d´un genere tutto diverso, che gli analisti americani non avevano messo in conto. I kamikaze. Dice, il dittatore, di averne quattromila. Fossero anche solo quaranta, il problema che pongono è enorme. Non per niente gli americani hanno subito minacciato che il ripetersi di attacchi suicidi li porterebbe a mutare strategia. Non chiariscono oltre, ma senza dubbio tale mutamento non va nel senso di una maggiore «bonomia» bellica. Pensino a rappresaglie sulla popolazione attraverso massicci bombardamenti alla maniera della seconda guerra mondiale, o all´automatica considerazione di tutti i membri del partito Baath, o di qualunque gerarchia civile, o simpatizzante pro-Saddam (come quelli visti in televisione che a lui inneggiavano mentre accettavano gli aiuti umanitari dalle truppe alleate), quali nemici combattenti, alla maniera piuttosto di quanto accadeva in Vietnam da una parte e dall´altra, si tratterà sempre di un incrudelire della guerra. E dello scolorire dell´idea che ci si sia impegnati in una guerra di liberazione. Enon perché il regime iracheno non sia quello che è, del tutto meritevole di essere abbattuto e la sua caduta una liberazione. Piuttosto perché le truppe americane saranno costrette a comportarsi sempre più come truppe di occupazione in un territorio potenzialmente ostile. Partite con l´idea di poter contare sulla simpatia popolare degli iracheni liberati, e dunque di avere, compiuta l´avanzata, una ragionevole sicurezza nelle proprie retrovie, esse si trovano a dover dubitare di chiunque si avvicini, a dover temere dietro ogni manifestazione di gioia dei civili o atto di resa dei militari, un inganno e una trappola mortale. E l´esperienza di Israele, il quale non riesce a fermare i kamikaze - ieri ancora un altro - in un contesto infinitamente più favorevole (popolazione amica, controllo capillare del territorio, altissima capacità di rappresaglie mirate, costante infiltrazione degli avversari) insegna che si tratta di un fenomeno per il quale fino ad ora non si sono trovati rimedi. Di fronte a una situazione simile di guerra irregolare gli americani in Libano vent´anni fa, in Somalia più di recente, hanno preferito disimpegnarsi. Ma in quei casi agivano con la copertura delle organizzazioni internazionali come l´Onu. Ora no, e il fallimento ricadrebbe solo su di loro e, almeno fino a che non cambi il presidente, è impensabile una simile ammissione che ne travolgerebbe la credibilità, con danno, bisogna ammetterlo, di tutti, visto che è difficile immaginare un qualunque ordine mondiale basato sull´umiliazione degli Stati Uniti. Dunque l´imbuto della guerra risucchierà sempre di più gli americani, e renderà ogni giorno più difficile mantenere la distinzione fra il loro comportamento e quello proprio d´un regime feroce come l´iracheno. In effetti la sottovalutazione della capacità di tenuta del regime, come che sia garantita, è stata spettacolare, così come l´impreparazione di fronte alla possibilità da parte di Saddam di mobilitare con successo il mondo arabo al suo fianco agitando, lui sì spregiudicatamente, la bandiera dello scontro di civiltà e di religione. Fino al punto di poter contare già ora sui suicidi volontari per la causa e, in prospettiva, mettere a rischio di destabilizzazione anche i governi arabi filoccidentali. Così si fa sempre più concreto il rischio che gli Stati Uniti ricadano nella dinamica di quelle potenze egemoni del passato le quali, pur entrate in guerra animate dalle migliori intenzioni e più alte idealità, furono costrette dalle circostanze a venire a patti coi propri principi e a screditare le loro ragioni, malgrado quelle degli avversari restassero peggiori. È questo il dramma di Atene nella guerra del Peloponneso come ce l´ha raccontato, quale «conoscenza per sempre», Tucidide duemilacinquecento anni fa. Se accanto a tanta tecnologia e razionalità strumentale ci fosse stata un poco più di cultura nei piani americani, sarebbe stato meglio. A questo punto non resta però altro da sperare che la guerra effettivamente finisca presto. Diversamente una situazione difficile corre il rischio di diventare ingovernabile, o di costare talmente tanto, in termini di autorevolezza e capacità di leadership, da mettere in crisi persino gli Stati Uniti e creare più problemi di quanti già non ve ne siano. Nessuna delle passate potenze egemoni era una compiuta democrazia. L´America sì. Speriamo che questo faccia la differenza.
31/03/2003