Università Cattolica del Sacro Cuore

Il buon gusto deve valere anche per la satira

I ripensamenti del responsabile di Rai 3 sulla trasmissione Raiot di Sabina Guzzanti, con le decisioni a cascata del consiglio d´amministrazione che ne sono seguite, hanno, come noto, sollevato un putiferio. Non giudizio di opportunità, ma censura, si è detto, quella della Rai. Vietato vietare è stato in sostanza il principio cui ci si è ispirati per difendere non tanto un programma ma il principio della satira. Non voglio però entrare nel merito di questa trasmissione, che non ho visto, ma sulle questioni di fondo che ha sollevato, tanto più dopo la notizia del testo teatrale di un altro autore aureolato dalla censura del potere, che gli ha interdetto la televisione, vale a dire Daniele Luttazzi. In un suo lavoro rappresentato a Genova si immaginano e descrivono pratiche necrofile di Andreotti sul corpo morto di Moro. Sembra che persino un pubblico almeno di massima simpatetico con l´autore, considerato che ha pagato un biglietto apposta per vedere lo spettacolo, abbia faticato ad accettare tale provocazione ovviamente proposta come satira. Si tratta forse di un caso estremo, ma dimostra che siamo oggi di fronte a un paradosso. Se nulla si può vietare alla satira, in nome della libertà d´espressione, l´unico divieto che resta in piedi è quello relativo al divieto di mettere in discussione la satira stessa. Gli autori e attori satirici sono i soli i cui diritti sembrano assoluti, nulla può essere loro opposto. Anche se istintivamente sentiamo che così non può essere. Le barzellette sui carabinieri sono una specialità nazionale e una pratica popolarissima, ma la sera della strage di Nassiriya nessuno si sarebbe azzardato a far dello spirito, non dico in televisione, ma neanche al bar, sui carabinieri. Non era il momento, non era il modo. Le barzellette sarebbero suonate oscene perché in contrasto con un sentire condiviso, per questo inaccettabili. Una volta ci si chiedeva retoricamente se si poteva parlar male di Garibaldi. L´Italia post-risorgimentale in effetti l´aveva posto nel suo Pantheon dei padri della patria e per quella cultura parlar male di Garibaldi a lungo sarebbe apparso quasi intollerabile. Ma quella stessa società accettava una polemica e una satira anticlericale d´una violenza e volgarità che oggi ripugnerebbero al più laicista dei laici. Di fronte a queste considerazioni è evidente che non si può reagire in termini di «progresso» o di crescita della libertà. Ogni stagione e ogni società ha i suoi limiti, perché ha la sua forma, che ingloba oppure no la santificazione di Garibaldi o il vituperio della Chiesa. Per continuare nell´esempio, è evidente che l´integrazione dei cattolici nello Stato italiano ha reso impossibili certi livelli di volgarità satirica nei loro riguardi, così come il consumarsi della retorica risorgimentale e la necessità di ripensare in forme aggiornate l´identità italiana ha reso possibile parlar male o metter in burla Garibaldi senza più suscitare scandalo. Il problema di oggi non è dunque quello di invocare tribunali e manette per gli attori satirici, né di vietare la satira. Il problema è quello di chiedersi dove stanno i limiti per noi, oggi, della satira. Esser consapevoli che poter dire ambiguamente «razza ebraica», come ha fatto la Guzzanti (che certo mai neanche per sbaglio -e ben a ragione, sia chiaro- avrebbe detto, io credo, «razza negra»), o ridicolizzare il corpo morto di Moro per far satira sulla defunta Dc, o immaginare Berlusconi maestro d´ogni infamia, sempre satiricamente parlando certo, ha a che fare con la forma della nostra società, ovvero con le caratteristiche del nostro vivere associato. Vietato vietare non significa allora difendere la libertà ma credere che si possa vivere senza forma. O che ciascuno si possa far la propria. Davvero è plausibile un simile progetto? Davvero non vi è nulla oltre l´individuo? Davvero, per dirla in altri termini, si può vivere senza rispetto per gli altri? Entro questi interrogativi sta, io credo, per noi oggi il problema della satira e, mi si consenta di dire, immaginare Andreotti necrofilo, per stare al caso più osceno, che forma della società prefigura? Bella certo no.

27/11/2003