- Milano
- Dipartimento di Storia moderna e contemporanea
- Carte Mozzarelli
- 2003
- Infelici gli italiani, ma solo per il Censis
Infelici gli italiani, ma solo per il Censis
Perbacco, siamo i più infelici dell´Occidente. Ce lo garantisce il Censis sulla base dei dati di una analisi compiuta in 40 Paesi. Da noi, ogni quattro persone che incontrate uno è infelice. E adesso che lo sapete magari vi sentite un po´ peggio anche voi. Tanto più se sapeste che bastava nascere un po´ più in là e tutto cambiava. A Chiasso negli infelici non inciampate proprio. Dovete andare a cercarli, e che fatica trovarli. In Svizzera sono infatti appena il 3,6% della popolazione, record mondiale. Sarà per questo che c´è l´emigrazione dei capitali verso la Confederazione. Gli italiani ricchi vogliono essere pure felici, e immaginano che in mancanza del paradiso vero, che non è di questa terra, anche quello fiscale intanto possa aiutare. Però poi, ci dice sempre il Censis, l´84% degli italiani afferma di viver bene nella comunità in cui vive, più della metà dichiara di avere dei veri amici e di contare su di loro. Anche perché probabilmente li conosce da un pezzo. Più della metà degli italiani infatti impiega meno di un quarto d´ora a raggiungere la casa della mamma, contro un terzo appena degli altri europei. Tanta calda intimità ha il suo rovescio. Il 63% lamenta che parenti e amici si aspettano troppo da loro, addirittura tra i ventenni la percentuale sale al 71%. Magari per questi ultimi sarebbe stato interessante sentire in proposito le ragioni dei genitori. Ma i sociologi sono scienziati troppo seri per farlo. E comunque gli italiani che si lamentano delle eccessive attese altrui, che hanno amici ma diffidano degli altri (il 67% pensa che se non si sta attenti, gli dai il dito, ti prendono il braccio), sono altruisti e generosi di sé. Che quattro su cinque siano convinti di aver dedicato tempo a consolare gli afflitti può voler dire poco, senza sapere che ne pensano gli afflitti medesimi. Però che il 60% abbia dato soldi ad associazioni di volontariato, che un quinto abbia partecipato a progetti di adozione a distanza, che un quarto si sia impegnato direttamente in attività di volontariato, qualcosa di certo vuol dire. E se gli svizzeri stanno tanto più in basso in questa graduatoria, non è colpa loro. Là è retribuito anche il catechista (sarà uno dei parametri della felicità?), e far volontariato è oggettivamente più difficile. E poi c´è la famiglia. Croce e delizia di tutte le inchieste sugli italiani. Da una parte, ci dice il Censis, è quella che in Italia regge tutto, dall´altra, ammonisce il Censis, è causa e giustificazione di «una pericolosa deresponsabilizzazione pubblica». Ma allora perché gli italiani si lamentano che la famiglia sia lasciata troppo sola dalle istituzioni? Tanto da chiedere più aiuti per quelle con figli e più servizi alla persona? Forse il termine solidarietà sarebbe stato più appropriato di quello di deresponsabilizzazione, e una visione meno individualista dell´uomo più capace di comprendere carattere e caratteristiche degli italiani. O, ancora, ha molto senso comparare la spesa pubblica per la famiglia ferma al 4% con quella del 26% dedicata a contrastare la malattia e del 51% al sostegno della vecchiaia, come se questi fenomeno fossero tra loro tutti indipendenti? Certo, gli italiani non vivono nel migliore dei mondi possibili, le preoccupazioni per la tendenza ad attribuire ai singoli sempre maggiori responsabilità prima garantite dallo stato sociale creano insoddisfazioni, ma sembra che le apprensioni e le infelicità degli italiani riguardino più l´orizzonte lontano che la quotidianità. Che siano tossicodipendenza e Aids le preoccupazioni maggiori degli italiani, distaccando di gran lunga la disoccupazione di lunga durata, la marginalità giovanile, la prostituzione e la povertà, mi sembra che si possa spiegare solo in questa prospettiva. Assumerne consapevolezza non significherà diventare più felici alla maniera voluta dal Censis, ma permetterà di valorizzare quella solidarietà da cui sole può partire la risposta alla crisi, non italiana, ma generale, dello stato sociale. Piuttosto di prestazioni sempre più difficili, alla politica va chiesto di cooperare a fornire un quadro di certezze, garanzie e agevolazioni per dar spazio alla vitalità solidale degli italiani, a quella che non si misura in termini di felicità, ma di virtù, e che sola può cementare la comunità del nuovo secolo.
12/05/2003