Università Cattolica del Sacro Cuore

Nuovo ordine americano: futuro pieno di incognite

Malgrado ogni sforzo, la guerra contro l´Iraq diventa ogni giorno più prossima e certa. L´impegno americano è stato tale che, salvo fatti imprevedibili come la morte improvvisa di Saddam o un colpo di Stato contro di lui, pare quasi impossibile che gli Usa possano uscirne senza una vittoria militare. Ci si può accontentare di giudicare le scelte fatte da Bush come frutto di stupidità e incompetenza. Oppure cercare di discernervi una strategia razionale. La prima soluzione è più facile, ma non porta lontano. Cerchiamo allora di seguire la seconda per coglierne implicazioni e conseguenze. Dopo l´11 settembre gli Stati Uniti si sono resi conto che tutta l´architettura militare e politica ereditata dal tempo della guerra fredda e del confronto con l´Urss non li garantiva da minacce e nemici non identificabili con Stati e definiti ambiti territoriali, né da avversari che invece di contrapporsi ideologicamente, in modo moderno cioè, mescolavano, in modo pre o post moderno, politica e religione. La guerra all´Afghanistan, immaginata come decisiva contro Al Qaida, ne è stata la controprova. Si è dissolto il regime dei talebani, fatto sicuramente positivo per gli afghani, ma non il rischio del terrorismo contro l´America. Da tale constatazione è derivata, io credo, la scelta di drammatizzare il caso iracheno, non nuovo né probabilmente più minaccioso di qualche anno fa. Che Saddam sia un dittatore sanguinario, responsabile di genocidio contro le etnie diverse dalla sua, un personaggio al di sotto di ogni sospetto è certamente vero. Ma ce ne sono molti altri al mondo, e la comunità internazionale ha dimostrato di saperli tollerare, chiudendo se del caso tutti e due gli occhi sui loro tremendi crimini, anche per decenni. Saddam però sta in una posizione strategica particolare. Ha il petrolio, certo, ma gli Stati Uniti non ne hanno particolare bisogno. Piuttosto ha il petrolio ed è un Paese arabo. Un Iraq condotto a una qualche forma di democrazia e controllato per un tempo indeterminato dagli Usa cambia radicalmente la situazione nell´area. Può diventare un modello alternativo a quello dei regimi feudali e assolutistici del Golfo, e può rendere - a questo punto sì il petrolio diventa importante - meno necessario il rapporto con quell´Arabia Saudita che di Osama è patria e i cui fondi finanziano largamente l´apostolato all´estero dei più rigidi modelli islamici. Quelli che possono costituire «brodo di coltura» anche per la formazione di fautori della violenza religiosa e di terroristi. Un regime saudita che non possa più contare sull´appoggio americano corre il rischio di trovarsi in una situazione di debolezza e di non poter controllare quegli stessi estremisti sulle cui attività può avere oggi un occhio distratto. Sarebbe costretto quindi, come accade in Egitto ad esempio, a frenarne l´opera, e a diventare un gendarme antiterrorismo nell´area. E questo potrebbe essere il primo frutto della strategia americana. Ma non il solo. Gli Stati Uniti scegliendo il confronto entro le Nazioni Unite sembrano essersi infilati in un «cul de sac». Si osserva che il rischio è, se decidessero di muovere senza l´Onu, di delegittimare tale istituzione e quel tanto di ordine internazionale che ha garantito. Ma se il mondo non è più quello uscito dalla seconda guerra mondiale, nemmeno l´Onu, che di quella guerra registra ancora gli esiti nei cinque membri con diritto di veto - i vincitori di allora -, serve più. Forzare la situazione significa per gli Usa allora rendere chiaro il mutamento. Ovvero, o l´Onu diventa altro e si accomoda a partecipare alla costruzione di un nuovo ordine centrato intorno al vincitore della guerra fredda, oppure può esser messo da parte. Lo stesso accade per l´Unione europea, i primi passi della quale vennero cinquant´anni fa incoraggiati dagli Usa i quali ne hanno gradito tuttavia sempre meno gli sviluppi di crescente autonomia politica, e in ambito economico di concorrenza, con l´America stessa. Ricondurre l´Ue alla ragione anche a costo di provocarne una profonda crisi (ma altre ce ne sono state e alla fine si sono superate) potrebbe essere un costo accettabile per gli Usa. Se la strategia americana è quella sommariamente delineata, ne derivano però conseguenze generali che toccano tutti noi. Se essa fallisse nei suoi primi passi militari si aprirebbe uno scenario drammatico di crisi di leadership, con contraccolpi difficili da valutare. Ma per riuscire essa deve destabilizzare l´attuale sistema, addirittura i suoi alleati. E anche in tal caso i «vantaggi» di un nuovo ordine così perseguito, opinabili almeno per noi, si vedrebbero dopo un periodo non inferiore a un decennio di instabilità. Comunque vada, saranno dei bei problemi. E che Dio ce la mandi buona.

16/03/2003