Università Cattolica del Sacro Cuore

Quello sfregio al cuore del mondo

Due anni dopo le immagini dell´11 settembre alle Torri Gemelle continuano a ossessionare la nostra memoria collettiva, col disgusto per chi ha potuto compiere un atto tanto feroce, con la pietà per chi ne è stato vittima. L´aereo che trafigge la Torre e il fuoco, la gente che si butta nel vuoto o si affaccia disperata alle finestre, il crollo nella polvere e nel fumo in un solo fatale momento. Di scene tragiche, di morti e di ferocia ogni giorno la televisione ce ne offre. E sono tutte terribili, chiunque riguardino. Ma nel caso delle Torri ci tormenta la sensazione che quelle ci riguardino di più, abbiano a che fare non con un qualche accidente della condizione umana ma con la sua stessa sostanza. Come, per intenderci, non possiamo rivedere per l´ennesima volta le immagini infami dei campi di sterminio senza sentirci colpevoli, colpevoli di appartenere alla razza umana, terrorizzati dall´angoscia perché un male tanto assoluto e tanto razionale non appartiene alle passioni animali; può essere prodotto solo dalla bestia uomo. L´abbiamo detto: il male e il dolore non sono più tollerabili quando riguardano un qualche altrove rispetto al nostro mondo, ma, per l´appunto, ci vien da pensare che un domani, migliorando le condizioni, affermandosi nuovi valori e nuovi modi di vita, anche là essi potranno cessare. Quando invece l´orrore sta tutto dentro quella che chiamiamo la nostra civiltà, allora ci sembra di non avere scampo. Quando sono le conquiste tecniche, i progressi scientifici, a ritorcersi contro noi stessi che li perseguiamo per vivere meglio, come quella facilità di spostamento che aerei sempre più sicuri e sempre più grandi ci garantiscono, come quell´uso sapiente di uno spazio limitato che ci offrono i grattacieli, così come sessant´anni fa i ritrovati della ricerca chimica tradotti in gas letali per una morte ordinatamente fabbricata in serie illimitata, quando sono gli strumenti prodotti per migliorare la vita a poter essere stravolti da un loro uso a rovescio, è quella fondamentale speranza di sorti magnifiche e progressive conquistabili grazie all´esercizio della ragione e di cui siamo tanto orgogliosi, a vacillare. Per questo siamo tutti americani di fronte a quelle immagini e a quel lutto. E non possiamo non esserlo, al di là dei giudizi negativi che si possono dare sulle scelte politiche americane di oggi o di ieri. Anche perché questa nostra visione del mondo e dell´uomo è quella stessa di cui si mostrano alla fine ossessionati quegli stessi che la combattono, apparentemente rivendicando altri modi di pensare e vivere. In questo senso il crollo delle Torri, di nessuna rilevanza strategico militare, si presenta, per loro come per noi, come un atto simbolico, tanto forte quanto impotente, di sfregio alla nostra identità. Rispetto alla quale possiamo essere critici ma che non cessa per questo di appartenerci. Da alcuni secoli l´Occidente ha conquistato per il suo peculiare uso della ragione una posizione dominante rispetto alle altre civiltà, che sono di fatto costrette a confrontarsi con esso, con passione amorosa o con amarezza e furore, o con un misto di tali sentimenti. Perché in effetti ovunque andiamo portiamo il nostro bene e il nostro male, una medicina che guarisce, una potenza tecnica che risolve problemi altrimenti insolubili, ma anche un confronto di vita che svilisce la povertà a miseria, la diversità a inferiorità. E d´altro canto potremmo, posto che davvero lo volessimo rinunciando ai vantaggi che ce ne vengono, escludere il resto dell´umanità da quelle risorse per una vita migliore di cui noi stessi godiamo e tanto valutiamo? Non sarebbe anche questo un atto egoistico? Se siamo convinti, per fare qualche esempio, che l´istruzione sia un valore, lo sia la salute, lo sia la parità fra uomo e donna, come possiamo non volerli condividere? I cosiddetti realisti opporranno a queste osservazioni che in realtà è tutto e solo questione di interessi e di potenza. Che l´America cerca una supremazia imperiale come nessuno mai l´ha avuta tanto grande. Ma forse che i regimi arabi sono estranei a questa competizione, o che possiamo compiangere gli iracheni per la fine di Saddam posto che in larga maggioranza non lo fanno nemmeno loro? Interessi e ideali coesistono, dobbiamo evidentemente esserne consapevoli, è un aspetto dell´ambiguità nostra, e di chiunque, di cui sopra parlavamo. Un´ambiguità inscritta dunque nella condizione umana. Un secolo fa Kipling parlava, condividendo un sentire comune, del «fardello dell´uomo bianco» obbligato a civilizzare quelli di ogni altro colore. Oggi l´odio che si sprigiona dal fumo delle Torri ci obbliga a ripensare in termini tutti diversi la nostra «superiorità». Gli altri vanno incontrati, non obbligati. E anzi tanto più sapranno rielaborare autonomamente quel che loro possiamo dare, tanto più sapremo noi cogliere i valori della loro diversità, per confrontarci e migliorarci, tanto meglio sarà per tutti. Non è un problema di buoni sentimenti. È una strategia politica. E può essere una via per noi tutti americani sbigottiti e offesi da quello sfregio altrimenti insuperabile.

11/09/2003