- Milano
- Dipartimento di Storia moderna e contemporanea
- Carte Mozzarelli
- 2003
- Repubblica: che non sia sempre rissa
Repubblica: che non sia sempre rissa
La Repubblica nasceva 57 anni fa, in una Italia tutta diversa dalla nostra. Quasi nulla è rimasto di allora. Non le condizioni né le passioni, non i rappresentanti, nemmeno i conflitti. Anche i Savoia tenuti alla larga nel ricordo di quella loro sconfitta d´un soffio, alla fine sono rientrati, e vagano innocui per le pagine di cronaca, tra visite turistiche e dichiarazioni impacciate. Sono rimasti però gli italiani. Allora decisero di voltare pagina, e con la guerra e il fascismo si lasciarono alle spalle anche la monarchia. Non per cominciare una nuova storia, come magari essi stessi in parte pensavano, ma per scrivere un pezzo nuovo di una storia vecchia, della quale la stessa unità monarchica era appena il più recente capitolo. Con la Repubblica scelsero uomini nuovi, poco o mai sperimentati prima, ideologie estranee alla mitologia risorgimentale, ma per ritrovare e rinnovare le condizioni del loro stare insieme, non per dividersi. Per riprendersi la propria storia di popolo a lungo confiscata da quei pochi convinti di sapere loro come fare gli italiani, prima in ottocentesca e contegnosa redingote, poi in camicia nera, come se gli italiani già non ci fossero. E fu la vittoria dei partiti di massa favorevoli alla Repubblica, e poi la scrittura di una Costituzione che salvaguardava i princìpi liberali dello Statuto albertino, impensabile da alterare in caso di vittoria monarchica, ma li combinava e sopravanzava nella prospettiva dello Stato democratico e sociale. Con la Repubblica trovava riconoscimento insomma una Italia che fino a quel momento non aveva saputo come autorappresentarsi, socialmente e culturalmente. Per la metà femminile, per la verità, nemmeno lo aveva potuto. Fu in occasione del referendum del ´46 infatti che per la prima volta le donne andarono al voto e il suffragio fu davvero universale. E forse niente meglio di questo, il voto femminile, ci dice da un lato della novità di quella chiamata a decidere d´una intera nazione, dall´altra il tempo che è trascorso da quel momento di cambio di passo, per il quale sembra oggi incredibile che fino ad allora potesse esser stato altrimenti. La cornice repubblicana ci ha dato dunque la possibilità di dichiararci pienamente quale popolo, e di scegliere come essere, e mutare anche. È stata una istituzione di garanzia generale, e non se ne può immaginare una più efficace. È stata il vero compimento del processo di unità, e per molti versi il superamento dei limiti politici e sociali di quello. Il suo successo si può misurare sul fatto che non è minacciata né dai fantasmi del passato né da reali contestazioni del presente. I leoni di San Marco fanno bella figura sulle bandiere, ma là restano, arrotolati una volta finita la festiva manifestazione. Proprio perché è stata ed è uno strumento di garanzia, la Repubblica non offre però soluzioni predeterminate, le quali vanno invece articolate giorno per giorno, dentro quella cornice strutturalmente democratica. In questo senso dire Repubblica è dire di una condizione necessaria, ma non sufficiente per la civile convivenza. La riconsiderazione sempre più positiva dei decenni che si è convenuto chiamare della Prima Repubblica, e di una classe dirigente prevalentemente cattolica, da parte anche di chi allora la combatteva e se ne sdegnava volentieri, ci dice di un giudizio storico più maturo, ma forse anche d´un sentimento di nostalgia che non testimonia della felicità dei tempi presenti e fa dubitare del nuovo corso impresso alla politica italiana dopo la caduta del Muro di Berlino. Mentre celebriamo l´intelligenza dei nostri padri che seppero scegliere per il meglio, sarà bene ci interroghiamo su quanta intelligenza stiamo dimostrando noi. Ciampi può ben fare l´arbitro della Repubblica, ma occorre che i giocatori vogliano una partita e non una rissa. Soprattutto chi si sente più forte.
01/06/2003