Università Cattolica del Sacro Cuore

Se il procuratore legittima la giustizia a intermittenza

Questo è un articolo che avrei preferito non dover scrivere. Un articolo che riguarda tutti, per come un argomento drammatico si sta sviluppando e al di là di quanto la Cassazione ha deciso. Punto di partenza sono le considerazioni del procuratore generale presso la Corte di Cassazione riguardo alla sensatezza della richiesta di trasferimento dei processi a Berlusconi e Previti da Milano ad altra sede avanzata dai difensori dei due per legittimo sospetto nei confronti della volontà dei magistrati ambrosiani di giudicare con serenità la causa. L´alto magistrato ha detto in sostanza nella sua requisitoria davanti alla Cassazione che oggi motivi di sospetto non ve ne sono, ma che ce n´erano un anno fa. Un colpo al cerchio e uno alla botte si è detto, magari ammirando l´astuta via d´uscita che il magistrato si è trovata per riconoscere agli imputati quanto poteva loro riconoscere senza creare effettivi problemi ai colleghi giudicanti a Milano. In realtà, se una mossa astuta voleva essere, è riuscita tutto il contrario. L´ideale sarebbe stato che potesse negare in scienza e coscienza qualunque ragione alla richiesta dei due imputati, che ci riconfermasse nella fiducia che tanto vorremmo avere in una magistratura indipendente dal Palazzo come dalla folla, alla sottomissione al potente come dalla subalternità ideologica a una parte. Avremmo potuto accogliere, con amaro sollievo, anche la valutazione opposta, che in questo specifico ma eccezionalissimo caso i due ricorrenti, sì, avevano ragione. La dichiarazione del procuratore generale ci lascia invece in angosciosa incertezza. La serenità nel giudizio, adesso c´è e adesso non c´è, egli ci dice. C´è abbastanza insomma, e dipende: dal magistrato, dal momento, dal contesto. Certo, i magistrati sono uomini, e possono sbagliare come tutti. E infatti la civiltà giuridica non consente che un solo grado di giudizio possa rendere definitiva una sentenza. Ma i magistrati non possono permettersi di sbagliare per motivi contingenti, per il sopravvento di una animosità personale. A loro noi affidiamo la vita e vorremmo che d´essa avessero la massima cura. Vorremmo che fossero così seri, preparati e umili, da riconoscere il limite intrinseco alla loro attività e non volessero mai usare della potestà di giudicare che loro abbiamo affidata per realizzare, come fossero Dio, una giustizia ´superiore´ da essi sentita come sostanziale e necessaria, per considerazioni metagiuridiche, ovvero politiche, personali, d´opportunità, e dunque intesa ad arrivare anche là dove la legge non permetterebbe di arrivare. Perché proprio questo provoca incertezza e timore, disfa il consenso sociale. Ce l´ha raccontato qualche anno fa il giudice Francesco Misiani, ex ´toga rossa´, nel libro in cui ha narrato la propria storia e la sensazione di impotenza che l´ha preso nel momento in cui, coinvolto in rapporti giudicati sospetti con il giudice Squillante lungo le indagini per un caso di corruzione al palazzo di giustizia di Roma con evidenti ricadute politiche, gli è parso di vedere ogni suo argomento e comportamento stravolto da un ideologico pregiudizio da parte di colleghi dei quali aveva condiviso fino ad allora modi di agire e istanze ideali. Da amico era diventato nemico. Dunque, ci diceva, ineluttabilmente colpevole. Certo i suoi colleghi le regole le stavano senz´altro rispettando ma era l´animus con cui le applicavano a terrorizzarlo. Il fatto è che la democrazia (di cui una magistratura indipendente è evidente corollario), checchè se ne dica, non si regge solo sulle regole. Anche i predoni hanno le loro, anche la mafia. Pretende, la democrazia, da chi esercita autorità e poteri una certa tensione alla virtù personale che si traduce in una riconosciuta autorevolezza morale. Distingue i compiti, divide i poteri, anche per questo, perché nessuno cada nella tentazione di credersi onnipotente e superiore agli altri. La democrazia è impegnativa perché richiede educazione. Diversamente va verso la crisi dovendo moltiplicare le cautele, i contrappesi, le tutele. Inventare ad esempio la legge Cirami, col risultato di rallentare ulteriormente i tempi della giustizia, che è un modo per negarla. O deve, una democrazia in crisi, per converso enfatizzare il rapporto carismatico fra leader e gente comune a mascherare un deficit di ragionevole credibilità. I politologi dicono oggi che la questione politica del futuro è la fiducia, ovvero l´autorevolezza. Il procuratore generale ci ha detto che nella magistratura può essercene poca e incerta. Aiutiamo i magistrati a ritrovare se stessi e il senso della loro scelta, che è di vita oltre che professionale, non tirandoli da una parte e dall´altra. Disprezziamo coloro che fra loro si fanno star, che usano la loro storia per altre carriere e pubbliche gratificazioni. Ne saremo capaci però solo se lo stesso sentire lo applicheremo prima a noi stessi.

30/01/2003