Università Cattolica del Sacro Cuore

Anche i genitori hanno la sindrome del "nido vuoto"

Un commercialista trentaquattrenne, di sicuro successo visto che gira in Porsche, d’una città del nord si è convinto a lasciare la casa dei genitori solo quando il padre, esasperato, ha comprato un monolocale minacciando di trasferirvisi lui se il figlio non se ne fosse andato. E’ un caso limite certamente, ma illustra bene la situazione, e le novità rispetto al passato.
Pure presso le generazioni precedenti era usuale che i figli rimanessero nella casa paterna fino al matrimonio, ma questo avveniva solitamente prima dei trent’anni, ed era pure normale che la sposa fosse di qualche anno più giovane del marito e non sua coetanea. Come spiega Savignano, ci sono certo molti fattori che influenzano il protrarsi del tempo che si passa nella famiglia d’origine, ma ve n’è uno ancora che va sottolineato: il fatto che è venuto a mancare il conflitto d’autorità tra genitori e figli. Andarsene di casa era anche un modo per divenire del tutto autonomi, per non dovere più dipendere da un giudizio dei genitori o accettare i limiti che questi imponevano facendo valere il proprio status. Aggiungiamo che, nel corso del ‘900 almeno, la rapida trasformazione della società provocava disequilibri culturali tra le generazioni più vecchie e quelle più giovani e quindi tensioni fra di esse che una convivenza protratta non poteva che non acuire.
Oggi la “grande trasformazione” sociale si è in sostanza compiuta. Salvi casi o contesti abbastanza eccezionali genitori e figli convivono nuovamente una medesima cultura, parlano –al più con inflessioni diverse- una medesima lingua. E in questa lingua ci sono sempre meno parole per vantare una differenza di status naturalmente connessa alla differenza d’età e sempre più parole per dire tolleranza, rispetto dell’individualità, parità, convivenza. Fino al caso limite del rovesciamento delle parti da cui siamo partiti, o più semplicemente allo stabilirsi di una reciprocità di comportamenti. Con i figli, per dire, che pretendono che i genitori telefonino per avvertire di essere arrivati dopo un viaggio.
Da parte dei genitori vi è poi, speculare a quella del “ritardo”, la sindrome del “nido vuoto”. L’investimento affettivo da parte dei padri, che ha reso così confortevole per i figli la casa della famiglia d’origine, ha come conseguenza che anche per i genitori il distacco è emotivamente più faticoso di quanto non fosse una volta. Così, nelle famiglie con trentenni in casa, al piacere di un’autonomia senza il peso di pari responsabilità da parte dei figli fa riscontro quello dell’affetto senza il peso dell’esercizio dell’autorità da parte dei genitori. Non si tratta di far l’elogio del conflitto o della severità come valori in sé, ovviamente. Resta il fatto che siamo arrivati in un mondo nuovo nel quale gli equilibri di quello vecchio non hanno più significato. E però quelli nuovi sono tutti da costruire, e più il tempo passa più urgente si fa il problema di trovare una soluzione. Come si dice “diventare adulti e responsabili” nella nuova lingua?

21/03/2004