Università Cattolica del Sacro Cuore

Il cognome della madre, ma papà?

La Corte di Cassazione ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di costituzionalità relativa alla possibilità di dare al figlio il cognome materno invece di quello paterno. Le motivazioni sono impeccabili. C´è l´eguaglianza fra uomini e donne, e fra i coniugi? Allora quello del cognome paterno è solo un privilegio maschile. Come la Corte ha affermato, qualcosa che non va al passo coi tempi, che non corrisponde all´odierna sensibilità. Si potrebbe controbattere che se il problema è quello dell´eguaglianza non si vede perché il figlio debba accettare il cognome che i genitori gli hanno imposto, o il nome. Per quale privilegio essi debbono imporsi al bambino, decidere al suo posto? Come in civiltà del passato, il figlio giunto alla maggiore età dovrebbe esser messo nella condizione di scegliere lui quale cognome gli aggrada di più, magari anzi confezionarsene uno tuttosuo. Se il principio è quello della tutela dell´individuo e dei suoi diritti è senz´altro la soluzione più razionale, quella ineccepibile. Ma chissà se quei genitori che hanno sollevato il caso sarebbero d´accordo. Loro non hanno chiesto questo, ma che fosse tramandato il cognome della madre. Hanno voluto comunque decidere per lui, e che il figlio fosse riconoscibile come figlio loro, solo non nella linea paterna ma in quella materna. Immagino peraltro che per equità a un altro figlio dovrebbero dare il cognome del padre. Altrimenti si troveranno a sostituire un privilegio, quello femminile all´altro maschile, anzi forse veteromaschilista. E qui sta, mi sembra, il nocciolo del problema. Nel porsi la questione del cognome, secondo una valenza ideologica le cui conseguenze logiche finiscono per essere inarginabili e creare una incertezza sociale non compensata dai vantaggi che ne derivano all´individuo. Non si dimentichi che già oggi è possibile, raggiunta la maggiore età, chiedere di modificare o cambiare il proprio cognome con una procedura un po´ complessa ma alla fine abbastanza lineare. Un famoso italianista d´oggi, Amedeo Quondam, alla nascita faceva «Quondamangeloandrea», un cognome compostosi a un certo momento della storia col ricordo del fu Angelo Andrea, di cui la lunga teoria dei «Quondamangeloandrea» era tutta discendente. Per comodità decise di abbreviarlo, e così è stato. Per non perdere il ricordo dei discendenti di Dante l´ultima degli Alighieri, se non sbaglio nel Seicento addirittura, aggiunse il proprio cognome a quello del marito, e con tale doppio cognome la famiglia tuttora si presenta. E sono certo che vi siano casi in cui per i motivi più diversi già oggi qualcuno abbia ottenuto di cancellare il cognome paterno e di assumere quello materno. La novità sta dunque nel voler trasformare quella che fino ad ora è stata una scelta, permessa dalla legge e determinata da esigenze particolari, in una affermazione di principio. Incompleta e contraddittoria per di più perché, come si diceva, non tiene comunque conto della volontà del figlio. Ora, non vi è dubbio che la nostra tradizione culturale ha privilegiato il cognome paterno, che la nostra discendenza è pensata come patrilineare, e così via. Ma non vedo che vantaggio vi sia a sostituirla con un´altra ad essa speculare. La storia comunque non si cancella, né francamente vedo una evidente e angosciata pressione sociale che militi per questa riforma. Mi sembra che altri possano essere oggi i problemi seri del diritto di famiglia. La Cassazione poi insiste sulla tutela dell´unità familiare, sul fatto che i rapporti fra i coniugi debbono essere governati dalla solidarietà e dalla parità. Francamente non vedo come una affermazione di principio come quella ipotizzata contribuisca a tali risultati. Mi sembra che introduca piuttosto un altro motivo di possibile conflitto tra i coniugi, e magari fra le loro famiglie d´origine. Cosa accadrebbe infatti se non vi fosse concordia nella scelta del cognome tra i coniugi? Si va dal giudice, e su si ricorre fino in Cassazione? La famiglia ha già tanti problemi, mi sembra che non sia il caso di esporla ad uno di più per affermare qualcosa che nella pratica già oggi si può raggiungere quando serve senza impalcature ideologiche e con solo un po´ di buona volontà. Dicevano i giuristi d´un tempo, «summum jus, summa iniuria». Ovvero, per dirla semplicemente, il diritto va maneggiato con buon senso, altrimenti produce più danni di quelli che risolve. Forse è questo un caso in cui sarebbe particolarmente opportuno ricordarsene, e ricordarlo ai giudici della Cassazione in primo luogo.

29/06/2004