Università Cattolica del Sacro Cuore

La medaglia a Calabresi

Sono di mezz´età gli italiani più giovani che hanno un ricordo diretto di quegli anni, gli anni cominciati nel dicembre 1969 con la bomba alla Banca dell´Agricoltura, gli anni di piombo, o della strategia della tensione, quelli della «strage di Stato", gli anni quando «ammazzare un fascista non è reato», e rossi e neri sparavano e uccidevano, e a Milano non potevi passare per piazza San Babila con l´eskimo addosso perché considerato divisa della sinistra e provocazione per i picchiatori di destra che vi stazionavano, e la Dc era ovviamente fascista. Chissà come li ripensa oggi l´elegante collega che sfilava allora col fazzoletto a coprirgli il volto nel servizio d´ordine di Lotta continua, o l´affermato professionista attuale che alla notizia dell´uccisione del giornalista Walter Tobagi si chiedeva se, conoscendoli, avrebbe trovato giusto rivelare alla polizia i nomi dei responsabili. E il già famoso giornalista che indicò al pubblico ludibrio il gioielliere Torregiani, poi ucciso, e il figlio paralizzato per sempre, come li ricorda quegli anni? E quell´altro, un direttore, che oggi si vede discettare accanitamente di calcio e allora si considerava un giovane ribelle, votato alla causa proletaria? E le città deserte dopo cena negli Anni Settanta? Chi la ricorda la Milano spaurita e chiusa in sé d´allora? Sembra feroce oggi la contrapposizione tra berlusconiani e antiberlusconiani, ma rispetto alla violenza del confronto di quegli anni fa sorridere. Come probabilmente per le generazioni più anziane che hanno vissuto gli anni dell´occupazione tedesca e della guerra civile nemmeno gli Anni Settanta saranno stati così terribili. Ma più lunghi certo sì, senza che se ne vedesse uno svolgimento, se ne prefigurasse una fine. Finirono, finirono nel sangue di Aldo Moro, e dieci anni dopo in quelli del professor Roberto Ruffilli, maestro e amico. Ma finirono senza un verdetto netto, quello che concluse la seconda guerra mondiale e certo travolse memoria e personali ragioni di chi si schierò dalla parte dei vinti ma affermò incontestabilmente che la ragione stava dall´altra parte, quelle delle democrazie, pur con tutte le ambiguità e gli errori di cui si potevano tenere responsabili. La stagione degli opposti estremismi finì invece come sommessamente, per esaurimento. Malgrado gli arresti e le condanne che pure ci furono, e malgrado isolate assunzioni di responsabilità politica per aver favorito un clima di odio e disumanizzazione. Tanti chiusero nel loro cuore quel che erano stati, quel che avevano pensato. E la Milano da bere riciclò personaggi e protagonisti. Nuove verginità, nuovi traguardi. Senza fare chiarezza nemmeno sui fatti. Ma come tutti i rimossi anche questo ha continuato a tormentare chi allora c´era. E la medaglia d´oro alla memoria del commissario Calabresi ucciso nel maggio del 1972 e ad altri nove poliziotti vittime di delinquenti politici rossi e neri al di là dell´ufficialità non so quanto corrisponda a un sentire davvero profondamente condiviso da tutti gli italiani d´allora. Non c´è solo quel Battisti che dalla Francia si limita a dichiarare che si tratta di avvenimenti lontani e che nella sua cultura non è contemplata la richiesta di perdono per le vittime degli omicidi per cui è stato condannato. Lo dimostra più generalmente, mi pare, il fatto che sui giornali si legga che queste medaglie costituiscono sì un doveroso riconoscimento, ma avrebbero anche l´effetto indiretto di permettere la concessione della grazia a Sofri, condannato per la morte dello stesso Calabresi. Come se ci si dovesse per l´appunto confrontare tuttora con sensibilità diverse e l´unica strada fosse annullarle reciprocamente. Può sembrare un´ingiustizia, e agli uni e agli altri. Ma credo sia da parte del presidente Ciampi un gesto giusto. Forse è davvero questa l´unica soluzione ragionevole, perchè a un certo punto va placato col perdono sociale - e la grazia è un perdono, e la medaglia un atto di riconoscenza - quel rovello sotterraneo di cui si diceva, i suoi esiti collettivi, anche se non sempre palesi. Che son cosa diversa dal confronto interiore con la propria coscienza, cui nessuno si può sottrarre. E con la consapevolezza che perdonare non significa assolvere, così come che le medaglie non cancellano la difficile storia di quei giorni.

14/05/2004