- Milano
- Dipartimento di Storia moderna e contemporanea
- Carte Mozzarelli
- 2004
- La storia antica non è elementare
La storia antica non è elementare
Appaiono le prime indiscrezioni sui nuovi programmi della scuola elementare e media. Il Messaggero in un lungo articolo ha messo in luce alcune rilevanti novità. La principale sembra esser quella per la quale la storia antica si studierà solo nelle ultime classi delle elementari e alle medie si partirà dall´alto Medioevo, quello dei regni romano barbarici, della nascita dell´Islam, del primo definirsi di un´identità europea, e così via. La terza media sarà dedicata invece alla storia contemporanea fino agli Anni Settanta e, si può immaginare, in prospettiva e nella pratica fino alla caduta del muro di Berlino. Da un punto di vista teorico può esser giustificato che una scuola dell´obbligo pensata unitariamente fino ai tredici anni scandisca in questo modo le età della storia completandone un ciclo - dalla preistoria all´età contemporanea - invece di ripeterlo due volte, prima alle elementari, poi alle medie. E, però, è chiaro che la capacità di comprensione di un ragazzino delle medie è diversa da quella di un bambino delle elementari e che il rischio di ridurre la storia antica a un tale livello… elementare è grave. Le radici più profonde della nostra cultura ancora oggi affondano soprattutto nella tradizione grecoromana da un lato, giudaicocristiana dall´altra e poi nella loro sintesi tardo antica. È fondamentale che di questo gli studenti abbiano la maggior consapevolezza possibile. E non per svilire tutti gli apporti successivi o concomitanti ma perché senza aver consapevolezza delle ragioni ultime della nostra identità diventa difficile anche affrontare positivamente il rapporto con le altre culture, comprenderle, discuterle, farsi, se vogliamo, anche «contaminare» da esse. La grande forza delle nostra tradizione sta proprio nel fatto che è strutturalmente aperta alle integrazioni, è universalistica, e le colonne d´Ercole le conosce solo per superarle, specialmente da quando l´ha innervata il cristianesimo. Un dato che, l´abbiamo visto nel faticoso dibattito sulla possibilità di inserire il riferimento al cristianesimo nella Costituzione europea, ancora oggi tocca profondamente le coscienze, e inquieta a riprova della sua vitalità. Ma è tutto il senso della conoscenza della storia antica a stare nella sua vitalità, nel fatto che la nostra cultura è concresciuta e si è alimentata da essa. Anche tralasciando il potentissimo esempio religioso, si pensi, per ricordare un caso particolare ma non banale, alla lunga durata e metamorfosi del mito di Ulisse, da quello omerico, a quello dantesco fino all´Ulisse novecentesco di Joyce, fino se vogliamo alla scelta stessa dell´Alitalia di intitolare la sua rivista Ulisse 2000. Ognuno di questi Ulisse ha senso in relazione ai precedenti e si arricchisce di loro, e senza il primo gli altri non sono comprensibili, così come, a contrario, la nostra lettura dell´Ulisse omerico si fa più ricca e articolata per la conoscenza di quelli successivi. Ecco, io credo che mentre mettendosi a discutere sulla durata dei cicli e la ripartizione degli argomenti per anni sia difficile trovare una soluzione da tutti condivisa, la stessa si può trovare se la storia antica, i suoi dati vitali, saranno continuamente presenti nella presentazione della storia del mondo medievale, moderno e contemporaneo. Nel progetto della Moratti si parla anche di far compiere tra elementari e medie «esperienze di design, cucitura, tessitura, e ricamo per scopi funzionali ed estetici». Può essere un modo per affinare la sensibilità artistica dei ragazzi o può ridursi alle antiche lezioni di economia domestica riservate alle femmine mentre i maschietti facevano un´ora di ginnastica in più. Dipende da come tali esperienze saranno proposte. Lo stesso vale per la storia antica. Se i professori avranno essi per primi consapevolezza della vitalità e continuità ininterrotta della nostra tradizione culturale allora potrà andar bene che la storia antica si insegni solo alle elementari. La rilettura e il riuso della classicità nei periodi successivi fino ad oggi, si pensi al classicismo rinascimentale o al neoclassico, o al fatto che, come è stato detto, tutta la filosofia occidentale non è altro che una glossa a Platone, devono però allora diventare parte integrante dei programmi, e della cultura dei docenti. E qui si pone un altro problema. Che le eventuali critiche al progetto della Moratti da parte degli studiosi della cultura antica devono andare di pari passo con la disponibilità loro a ripensare le proprie competenze. Se essi per primi immaginano l´antichità come un mondo a se stante, se il rapporto fra classicità e classicismo, fra Ulisse omerico e Ulisse joyciano non li riguarda e non li interessa, allora la partita sarà persa e non saranno loro a potersene lamentare. Anche se i costi li pagheremo tutti.
06/03/2004