Università Cattolica del Sacro Cuore

Le tante radici del 2 giugno

Con sguardo lungimirante su impulso del presidente Ciampi, oggi si aprirà al Vittoriano di Roma la prima di otto mostre che da qui al 2011 dovranno solennizzare i centocinquant´anni dell´unità d´Italia. Ricordo che in occasione del centenario, nel 1961, furono il Risorgimento e i progressi del Paese ad essere sfruttati come motivi forti. Non per nulla la mostra «Italia ´61» si tenne a Torino, ove si potevano coniugare l´ottocentesca storia politica del progetto dell´Unità e quella recente della modernità industriale a sua volta produttrice di nuova unificazione, magari nei consumi, certo nell´immigrazione dalle campagne alle città, dal Sud al Nord. Nazione e lavoro insomma come minimo comun denominatore d´una identità italiana non conflittuale e in quei termini buona per tutti. Cinquant´anni dopo, il boom è storia lontana, l´identità italiana un tema di ricerca, e la faccenda molto più complessa. Per celebrare l´anniversario dell´Unità si propone ora un lungo percorso riassunto attraverso il concetto delle «radici della nazione». Nel 1961 che fossimo uni «di sangue, di lingua, d´altar» pareva ovvio. E le voci dissonanti troppo flebili o marginali per disturbare la festa. Oggi invece tutt´al contrario sono le ragioni dell´unità a dover essere illustrate. Per molti motivi. Qualcuna generale, come la crisi degli Stati nazionali, ancora forti di funzioni e poteri ma insidiati dall´esterno dalla globalizzazione e impacciati all´interno nel far fronte al diversificarsi e frammentarsi degli interessi locali. Qualcuna specifica dell´Italia, ove la dissoluzione politica della prima Repubblica e dei suoi referenti ideologici ha posto problemi enormi di ricostruzione del senso della nostra storia. La Repubblica nata dalla Resistenza poteva considerare quest´ultima come un secondo Risorgimento. Quello suggello alla rinascita italiana dopo la secolare vicenda della crisi del Rinascimento, la decadenza secentesca, il predominio straniero, questa come ripetizione novecentesca di vicende comparabili pur nella loro breve durata. La Resistenza cioè come vittorioso superamento della crisi dello Stato liberale, della dittatura, conseguente, dell´occupazione militare e della lacerazione territoriale. Il Risorgimento conquista della libertà, la Resistenza della compiuta democrazia. Ma esauritisi i partiti che di quella visione erano portatori e da essa traevano legittimazione, dai liberali ai comunisti passando per la Democrazia cristiana, acquisito l´antifascismo come patrimonio comune, il metodo democratico pure, andate in crisi le ideologie che avevano supportato un´idea totalizzante di politica, quale prospettiva poteva dare una storia che solo agli esiti della Resistenza nel senso detto si affidasse? E che in sostanza risolvesse la storia nazionale nella storia politico-istituzionale? Se presupponiamo questa domanda e questo problema allora il progetto della serie di mostre sulle «radici della Nazione» risulta chiaro nel suo significato. Non ci si può limitare come cinquant´anni fa a celebrare il Risorgimento, né accontentarsi d´evocare la Repubblica fondata sul lavoro. Occorre un punto di vista più ampio, e una prospettiva più lunga. In risposta alla globalizzazione occorre sottolineare, come si intende fare, l´Italia quale nazione del mondo, vale a dire come realizzatrice nella sua storia di pensieri, eventi e manufatti di rilevanza globale. E per quanto riguarda il senso di una storia comune per gli italiani assumere il tempo lungo della lingua, del diritto, dell´arte e della cultura. Così che l´unità la quale si vuole celebrare e riaffermare come valore non sia tanto l´esito di un moderno progetto politico, magari contrastato, quanto la conseguenza naturale di una vicenda tanto più ricca quanto più articolata, nel tempo e nelle sue manifestazioni. La grandezza e ricchezza della storia d´Italia, ha spiegato il ministro dei Beni culturali Urbani presentando l´iniziativa, sta nel rapporto fra molteplicità e unitarietà. Benissimo dunque ricordare assieme San Francesco e gli statuti delle città medievali, i grandi artisti e i primi testi in lingua volgare, le bandiere di combattimento e i filmati dell´Istituto Luce con la firma della Costituzione. Insomma, come si è detto, le fonti della storia d´Italia. Ciò che ha fatto dell´Italia una patria per gli italiani, secondo l´intendimento di Ciampi che del Vittoriano vorrebbe fare il museo della patria stessa. Arriva così al grande pubblico, con correzioni e aggiustamenti certo, il disegno proposto agli specialisti trent´anni fa dalla Storia d´Italia Einaudi (si vedano in essa esemplarmente i due volumi dedicati alle fonti, e il primo, sui caratteri originali della storia d´Italia) e frutto a sua volta della tardiva recezione delle prospettive della scuola francese delle Annales con la sua insistenza sulle vicende di lungo periodo, la storia della civilizzazione nel suo complesso, i dati metaindividuali, la storia delle mentalità, e così via. Nulla di male, se non fosse che il mito di una storia globale è tramontato da tempo e che al di là dei dati strutturali ci si è resi conto di dover fare i conti, per comprendere la storia, anche con le scelte consapevoli e le responsabilità degli individui e dei gruppi. Una storia senza conflitto, e senza scelte, oggettiva per così dire, non si dà. Giudicare le intenzioni non sta bene, ma non si può non vedere come il gruppo degli studiosi, di indubbio valore, cui è affidato il progetto sia culturalmente abbastanza omogeneo e marcatamente laico. Questa vicinanza di sentire renderà loro più facile, senza dubbio, la realizzazione del progetto, ma l´esclusione di altri punti di vista fa correre il rischio a questo ambiziosa iniziativa di offrire come generale e condiviso un punto di vista che tale non è, riconfermando come oggettive scelte interpretative particolari. Penso, per uscir dal vago, a temi come il ruolo della Chiesa nell´età moderna, i limiti sociali dello Stato liberale, il confronto tra élites e masse tra Otto e Novecento. Bene le celebrazioni insomma, purché accompagnate da, ed espressive di, franchi e leali dibattiti.

02/06/2004